È uno degli edifici più rappresentativi di Campobasso e, di certo, una costruzione di indiscutibile valore storico. Ma la “Casa della Scuola” è, ancor più, il simbolo di una comunità o, per lo meno, di quella parte di essa che fa della memoria collettiva un valore da preservare, poiché testimonianza (in)tangibile di un vissuto sociale che al ricordo affida la custodia del sentimento identitario.

Progettato nel 1911, il palazzo di via Roma non fu da subito destinato alle attività scolastiche (fonti storiche riferiscono di un suo temporaneo utilizzo come ospedale militare ai tempi della Prima Guerra Mondiale), infatti bisognerà attendere il 1919, anno in cui i grandi portoni d’ingresso furono finalmente aperti agli scolari molisani, che li attraverseranno per quasi un secolo. Nel 2017, com’è noto, la scuola intitolata nel 1936 a Enrico D’Ovidio è stata dichiarata inagibile, non in grado, dunque, di garantire adeguati standard di sicurezza; motivo per il quale, l’allora sindaco del capoluogo, Antonio Battista, condivise con la cittadinanza la scelta di chiudere la scuola e spostare i piccoli studenti in edifici più sicuri. Una decisione che, seppur capita dai cittadini, fu accolta con grande rammarico. Comprenderne le ragioni è piuttosto semplice e, come spesso accade, è la storia a fornire le adeguate chiavi di lettura.

Il simbolismo legato a questa particolare costruzione cittadina spazia tra ambiti molto diversi, che vanno dal più scontato (ma non per questo, minore) legame emotivo di natura soggettiva ai più ampi concetti di interpretazione dello spazio urbano, nei suoi aspetti funzionali e di partecipazione sociale. Già, perché la Casa della Scuola di Campobasso è stata, a lungo e intenzionalmente, luogo di aggregazione, ambito privilegiato di mediazione culturale, progetto di inclusione attiva nell’accezione più “moderna” che oggi s’intende voler dare alla Scuola, intesa come Istituzione. Insomma, una visione che potremmo definire “avanguardistica” ma che, al contrario, dimostra la sua indiscutibile prestanza culturale per via di quella spontaneità e quella immediatezza che, da sempre, hanno caratterizzato la natura delle attività proposte e realizzate negli spazi della Enrico D’Ovidio. Gli archivi scolastici offrono ampia testimonianza di ciò, già a partire dagli anni Venti, quando «attraverso le note del direttore Francesco Marino, allegate ai fascicoli dei maestri dal 1925 al 1935, è possibile rilevare tutte le iniziative adottate dalla scuola per manifestazioni locali e nazionali durante le quali venivano eseguiti cori degli alunni elogiati dalle autorità scolastiche» (fonte: http://webfacile.unidos.it/1circolo.gov.it/public/unitxt_20.asp.

«In un lontano, caldo agosto del 1953 organizzammo a Campobasso la prima mostra degli artisti molisani. La organizzammo nell’Aula Magna delle scuole elementari in via Roma e – questa fu la novità della mostra – esponemmo accanto ai quadri dei giovani artisti molisani, quadri e disegni di Guttuso, Levi, Natili, Vespignani, Mafai, ecc.». A parlare è Renato Lalli, personaggio assai noto nel panorama della cultura molisana, voce autorevole e fine intellettuale che, attraverso un lavoro fecondo e incessante, ha contribuito ad approfondire e arricchire di contenuti la storia dell’intera regione. L’esposizione in questione è la “I Mostra degli Artisti Molisani”, un evento eccezionale che offrì la possibilità al pubblico di confrontarsi con alcuni dei maggiori protagonisti dell’arte. Era il 1953. Sessantasette anni fa. Da allora, molte, moltissime mostre d’arte sono state ospitate nello splendido salone della Casa della Scuola, ma anche nelle tante aule dell’edificio, ambienti particolarmente adoperati in occasione delle diverse edizioni della rassegna promossa dall’ENAL. Eventi che si sono ripetuti nel tempo a ritmo cadenzato, appuntamenti programmati sui quali, evidentemente, qualcuno aveva riposto più d’una speranza, nel tentativo di infondere maggior respiro ad una qualche ipotesi d’apertura e confronto con il panorama artistico e culturale nazionale. Eventi non sempre ben accolti dalla critica, ma questa è un’altra storia.

Ciò che conta in questo particolare contesto, è porre l’attenzione su un aspetto specifico, relativo alla destinazione dell’edificio scolastico di via Roma, passato e presente. La Casa della Scuola ha, come detto, accolto negli anni innumerevoli progetti culturali e questa sua pregressa esperienza, assorbita con il tempo dalla comunità proprio per via di un costume ormai consolidato, ha contribuito ad alimentare anche un’altra fondata illusione, basata su una mancanza, e dettata dal desiderio (legittimo) di veder nascere uno spazio cittadino dedicato alle arti, alla loro valorizzazione e promozione; una battaglia condotta per anni da molti artisti molisani, il cui talento, spesso, è stato riconosciuto oltre i confini regionali ma intercettato, ahinoi, attraverso canali né ideati, né tantomeno incentivati da matrici locali. Il successo e la grande partecipazione registrati in occasione delle manifestazioni ospitate nella scuola di via Roma non hanno contribuito in alcuna misura a concretizzare le istanze della popolazione, cittadini che, a più riprese, hanno manifestato in modo diretto e indiretto la volontà di volersi raccontare anche attraverso i linguaggi artistici generati nel territorio di appartenenza. Ad oggi, quella che si professa la “città capoluogo” della più giovane regione d’Italia, non si è ancora dotata di un museo o di una galleria, spazi indispensabili a raccogliere, preservare e custodire il bagaglio artistico di una comunità. Ma anche (e soprattutto), spazi laboratoriali e progettuali, ove far convergere professionisti, al fine di lavorare ad una adeguata progettazione, utile a valorizzare e promuovere (vocaboli, purtroppo, oggi fin troppo inflazionati) le risorse artistiche locali. Proposte e suggerimenti non sono di certo mancati nel tempo; a mancare è stata una concreta volontà di accoglimento, la fede incondizionata e la convinzione che operazioni di tale caratura siano davvero utili allo sviluppo (politico) di una società civile.

In merito alla Casa della Scuola, un tentativo di apertura in questa direzione sembrava essere stato posto in essere. È il 21 maggio 2019 quando, con il giustificato entusiasmo che spesso accompagna manifestazioni di questo genere, il sindaco di Campobasso Antonio Battista (agli sgoccioli del suo mandato), taglia il nastro della nuova “Galleria d’Arte moderna e contemporanea” della città, ospitata proprio negli ambienti (o, per meglio dire, in parte di essi) della Enrico D’Ovidio. «Si avvera un sogno durato 25 anni» – le parole dell’ex primo cittadino, al cospetto di Paolo Pettinicchi, figlio dell’illustre Antonio, pittore e incisore molisano nativo di Lucito. La neonata galleria, infatti, presenta al pubblico il ciclo pittorico dedicato alla “Divina Commedia” e realizzato dal Maestro lucitese, collocato negli spazi di via Roma (riorganizzati per l’occasione) dopo essere stato ospitato per anni nei corridoi di Palazzo Magno, sede degli uffici della Provincia. Un buon inizio, si potrebbe affermare, in perfetta continuità con il glorioso passato della Casa della Scuola. «Uno spazio di grande rilevanza storica per la città e per la sua gente, pronto dunque a consacrarsi quale nuovo punto di riferimento per iniziative e attività culturali» – dichiara Battista a pochi giorni dalle elezioni. E dunque, a “fare compagnia” a Pettinicchi – così come è stato spiegato – ci sarebbero stati altri artisti molisani, compatibilmente con il prosieguo dei lavori di riqualificazione della struttura, allo scopo di costituire un unico, grande contenitore, «un luogo in cui sarà possibile prenotare visite guidate, un luogo da poter visitare anche sabato e domenica. Un passaggio storico per Campobasso».

Sono passati 266 giorni, a “fare compagnia” a Pettinicchi non c’è nessuno, accorgersi che in via Roma a Campobasso esiste una “Galleria d’Arte moderna e contemporanea” non è così scontato, il sabato e la domenica li passiamo ancora al ristorante e, soprattutto, a breve la giovane “Galleria d’arte moderna e contemporanea” potrebbe essere chiusa. «Non ci sono i soldi per mantenere in piedi una struttura di questo tipo» – riferiscono da palazzo San Giorgio gli attuali amministratori. Non è colpa di nessuno, le buone intenzioni erano buone ma gestire un lavoro “a metà” ereditato da altri è cosa, evidentemente, complicata. Il problema resta sempre e solo uno: nessuna programmazione a lungo termine, nessun progetto ragionato, nessun professionista interpellato, nessuna visione.

Antonio Pettinicchi è più solo che mai, i suoi colleghi lo sono, l’arte è più sola che mai. E fa specie che sia proprio lui l’emblema di tale situazione, lui che, insieme all’amico di sempre, Walter Genua, si rese fautore delle più ardue battaglie in difesa della cultura molisana, degli artisti molisani, del desiderio (e dell’esigenza) di uno spazio espositivo capace di raccoglierli e ospitarli tutti. Una “casa” gli artisti molisani non meritano di averla, e questa è la sola verità che sia stata raccontata in modo compiuto.

Fine della (lunga) storia.