Si chiama Francesca, ha 32 anni ed è nata e cresciuta a Campobasso. Da qualche tempo, però, la sua vita non è più in Molise ma a Düsseldorf, in Germania. È lì che Francesca svolge “finalmente il lavoro che ama”: è art advisor, curatrice e giornalista d’arte ma collabora anche con l’università e con alcune gallerie tedesche. La strada verso Düsseldorf e la realizzazione professionale è passata attraverso tanto studio, varie esperienze formative e molti sacrifici, non ultimo il dover rinunciare alla vicinanza dei propri affetti. La passione per l’arte e il desiderio di realizzarsi professionalmente in questo settore hanno, però, avuto la meglio. Con lei, abbiamo approfondito molti aspetti legati alla sua esperienza: le ragioni alla base della scelta di lasciare il proprio Paese, il fenomeno emigratorio contemporaneo, le politiche culturali italiane e molisane, il confronto (amaro) con le pratiche tedesche.

Una lunga chiacchierata che vi proponiamo “in due tempi” perché ci è parso importante dare spazio a chi, invece, qui in Molise sembra non averne avuto abbastanza.

Quale è stata la tua formazione?

Mi sono formata fuori dal Molise. Dopo il liceo linguistico a Campobasso, ho deciso di dare ascolto alla mia voce interiore che mi diceva di proseguire sulla strada della storia dell’arte. Dunque, sono andata a studiare all’Università di Chieti. Non mi sono mossa molto, in realtà, all’inizio. Chieti era, allora, una specie di “succursale” di Roma, era vicino casa… Sono stati anni belli, dal 2006 al 2011, quando ho finito l’università.

Quando e perché, dunque, hai deciso lasciare il Molise?

Non è facile rispondere. Forse è più semplice dare una spiegazione sulle ragioni che mi hanno portato a compiere questa scelta, ma se dovessi indicare il momento esatto in cui è avvenuta, ho qualche difficoltà. Di fatto è stata una decisione maturata nel corso del tempo. Dentro di me, sapevo che non sarei rimasta in Molise e che mi sarebbe piaciuto andare all’estero (del resto, ho scelto di studiare le lingue al liceo!) ma comunque dopo l’università sono tornata a Campobasso, dove ho conseguito una laurea triennale ed una magistrale, proprio sull’arte medievale molisana. Prima di questo, però, sono stata sei mesi in Argentina, vicino Buenos Aires, con una associazione religiosa di volontariato. È stato un periodo molto significativo nel mio percorso di vita. Tornando ai miei studi, mentre ero alle prese con la stesura della mia tesi sulla pittura gotica e tardo gotica in Molise, conobbi l’allora soprintendente Daniele Ferrara, giunto da poco nella nostra regione; questo incontro mi permise di intraprendere un nuovo percorso formativo, proprio con la stessa Soprintendenza del Molise. Un tirocinio, di fatto, che mi ha permesso di collaborare non solo con il dottor Ferrara, ma anche con molti giovani studiosi; insieme abbiamo lavorato alla costruzione del Museo Nazionale del Molise (a Castello Pandone di Venafro), ma anche all’ampliamento della Pinacoteca Pistilli a Campobasso, al castello di Gambatesa…insomma, un lungo percorso che è proseguito, dopo la conclusione del tirocinio, fino al 2014 attraverso contratti a progetto.

Un duro lavoro, immagino.

Si, potrei definirla una palestra di vita che mi ha permesso di imparare tantissimo il “mestiere”: ho fatto, ad esempio, molte visite guidate e la mia idea era, in quegli anni, quella di restare in Italia e vivere di questo lavoro. Proprio per questo, intrapresi un nuovo percorso di studio presso la Scuola di specializzazione in Beni Storico-Artistici di Udine che mi avrebbe offerto la possibilità di accedere ai concorsi per la Soprintendenza. Parallelamente, iniziò anche la mia attività di curatrice di mostre, con due esperienze presso la galleria Artes di Campobasso (che ancora ringrazio, di cuore).

Quindi non ci pensavi affatto ad andare via dal tuo Paese!

Non c’era voglia di lasciare il Molise, mi trovavo bene, conoscevo l’ambiente e mi sarebbe piaciuto restare in Soprintendenza.

Cos’è successo? Cosa ti ha fatto cambiare idea?

La Scuola di specializzazione prevedeva, fra le altre cose, un tirocinio da praticare all’estero ed è stato allora che ho pensato potesse essere una buona occasione recarmi in Germania, per approfondire la mia tesi sui pittori berlinesi: lì, sul posto, avrei potuto attingere a molte fonti! Del resto, iniziava ad affiorare quel senso di insoddisfazione per il tanto lavoro svolto fino a quel momento e le poche, concrete prospettive di vita (lavorativa) future.

 Ti sentivi scoraggiata? Da cosa, in particolare?

Abbiamo lavorato tantissimo per la nascita del Museo Nazionale, giorno e notte potrei dire; ma la delusione è arrivata dopo, non solo per il disinteressamento della politica, ma soprattutto da parte dei molisani stessi, il cui interesse rivolto al proprio patrimonio culturale e artistico era nullo. Abbiamo lottato per raggiungere il maggior numero di visitatori possibile in questi presidi della cultura, ma i risultati sono stati deludenti.  Questo scontro continuo con il disinteresse da parte dei cittadini molisani mi ha spronata a vedere cosa ci fosse al di fuori dell’ambiente molisano.

Il tuo è un racconto molto appassionato, si sente che ami ciò che fai. Se dovessi provare a spiegare cos’è  l’arte per te, cosa diresti?

L’arte è una forma di espressione, un modo di guardare la realtà. Penso che l’arte sia questo e null’altro, un modo che abbiamo di osservare ciò che ci circonda. E sempre stato così. Ma è anche immaginazione, il tentativo di trasferire agli altri il proprio mondo interiore. Gli artisti o immaginano o interpretano. Per me, Francesca, rappresenta tutto quello che so fare. Non potrei fare altro.

Alla luce della tua esperienza, cosa pensi delle politiche culturali molisane?

Domanda difficile… Si fa troppo poco. Ho letto, ridendo, della candidatura di Isernia a capitale della cultura, ma anche dell’articolo pubblicato sul New York Times relativo al Molise. Non vorrei essere fraintesa: è bello che i molisani siano entusiasti di tali vicende, ma è assurdo che l’interesse per la nostra regione provenga sempre e solo dall’esterno e non da chi il territorio lo vive quotidianamente.

Cosa si fa di diverso, a tal proposito, in Germania?  

Il punto di partenza, è il maggiore interesse rivolto alle nuove generazioni. Si investe molto in servizi aggiuntivi, come ad esempio i laboratori per bambini, le guide alle scolaresche, in generale, sulla formazione delle giovani generazioni. C’è un’ottima intesa, una concreta collaborazione fra le scuole e chi si occupa di politiche culturali. Io stessa ho partecipato a un progetto nato dalla cooperazione fra il Museo d’arte e design di Colonia, una scuola media e l’istituzione preposta alla cultura. A ciò si aggiunge uno spiccato interesse a valorizzare – parola stra-utilizzata in Italia ma dove, credo, non è stato colto appieno il significato – il patrimonio di cui dispongono. Non voglio fare confronti con l’Italia, non è importante stabilire “chi ha di più”, ma ciò che interessa è comprendere gli sforzi che ognuno compie per potenziare il proprio bagaglio culturale.  Infine, non in ultimo, qui in Germania c’è grande partecipazione alle attività culturali proposte, quando c’è un’inaugurazione a Colonia, ad esempio, le istituzioni partecipano tutte. Sempre. Non manca mail il discorso iniziale del sindaco, cui segue quello dei curatori e dei vari professionisti coinvolti. In Molise, in base alle esperienze che ho avuto, era davvero “occasionale” la partecipazione dei politici locali.