di Lucrezia Cicchese

Sono 31 giorni in cui quello che abbiamo visto sempre e solo nei film ha fatto irruzione nelle nostre vite insieme al virus. Avreste mai pensato di dovervi giustificare per una passeggiata? Avreste mai pensato di regolare le vostre giornate intorno al bollettino della Protezione civile? Vi sareste mai aspettati decine e decine di bare trasportate dall’esercito senza un familiare, nel silenzio totale? E invece.

È stata mia madre – in uno scambio di messaggi – in realtà a darmi notizia del primo tampone positivo a Codogno. Nei giorni a seguire un altro caso, poi ancora, poi così tanti che nessuno ha mai pensato che potesse essere così devastante per l’Italia. E invece.

Nessuno avrebbe mai pensato che dal 21 febbraio i giornali si sarebbero fermati a una sola parola: Coronavirus. Prima – e ancora – ha bombardato il Nord del nostro Paese e subdolamente ora sta scendendo al Sud. Mai l’avremmo immaginato, mai avremmo visto centinaia di cervelli in fuga fare ritorno all’ovile. E invece.

E penso che, diciamocelo tra di noi e anche un po’ egoisticamente, il contagio era in Cina e per tutto il resto del mondo andava bene così. Poi però è arrivato in Italia, nelle nostre città e poi nelle nostre case. Dicono che ognuno di noi perderà un familiare o conoscente in questa pandemia. Dicono.

Trentuno giorni per devastare una Nazione. A forza di “figurati se” e “state tranquilli, tutto sotto controllo” il virus si è ritagliato il suo vantaggio fin dall’inizio. Ci siamo così trovati confinati in casa, incollati sui social a dare sfogo a ogni nostra più repressa sensazione.

31 giorni per superare la Cina in decessi. E possiamo trovare ogni giustificazione, ma la verità è semplice: noi italiani non siamo programmati per ipotizzare il peggio. E invece.

Mentre scrivo questo editoriale per quello che sarà dal prossimo 30 marzo un nuovo quotidiano – che momento per piazzarsi sul mercato, dicono – sono accanto a mia figlia di due anni. La guardo e ho iniziato a compilare una lista di tutto ciò che non vorrei dimenticare dopo il Coronavirus. Si, perché la storia ci insegna che ci sarà un dopo. 

Io non voglio dimenticare l’importanza di rispettare le regole e nemmeno chi, ancora oggi, quelle regole le definisce folli. Intanto il non rispetto di quelle regole sta causando morti e questo non lo dobbiamo cancellare.

Non voglio dimenticare l’informazione contraddittoria, sensazionalistica, emotiva e approssimativa che ha accompagnato questi 31 giorni. L’informazione verificata, chiara è la base di tutto e nessuno lo ha fatto con rigore. E le chiacchiere e le accuse sono inutili. Nessuno è immune all’errore per quanto non si voglia. I fatti parlano da sempre.

Non voglio dimenticare che quando tutto questo sarà finito dovremmo tenere gli occhi aperti rispetto a chi gestisce gli ospedali. Non cerchiamo tra i politici a Roma i responsabili dei nostri ospedali. La sanità viene gestita dalla Regione. E i responsabili dell’eventuale malasanità – che tanto eventuali non sono, ma vabbe’ – sono intorno a noi e in mezzo a noi. Da domani, che arriva domani, occhi aperti e nessuna pietà.

Non voglio dimenticare che l’Europa è stata in ritardo, troppo in ritardo, e che a nessuno è venuto in mente di mostrare, insieme alle curve nazionali dei contagi, una curva europea che ci facesse sentire uniti in questa disavventura, almeno simbolicamente.

Non voglio dimenticare che l’origine della pandemia risiede nel nostro rapporto con l’ambiente che abbiamo usato e sfruttato fino al collasso.

Non voglio dimenticare che la pandemia ci ha trovato impreparati e scientificamente digiuni.

Non voglio dimenticare l’egoismo di chi in un momento di difficoltà ha curato ancora una volta solo i propri interessi.

Non voglio dimenticare che a quasi quaranta anni abbiamo – si dico a noi degli anni ’80 – un obbligo morale a cui non possiamo più sottrarci.

Non voglio dimenticare.

E mentre ci sarà un momento, lento, ma ci sarà di discesa non voglio dimenticare che il tempo questa volta c’è per arrivarci preparati. E niente pacche compiaciute sulle spalle, poi. Oggi abbiamo l’obbligo di non volere dimenticare perché questo grande vuoto, se non agiamo sin da ora, ci porterà definitivamente al crollo. E io guardo mia figlia e non le lascerò in eredità la sfiducia in un mondo di oblio.