La vita cambia in fretta. La vita cambia in un istante. Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita.

Nel bel mezzo della vita, noi siamo nella morte, L’anno del pensiero magico, Joan Didion

Ieri il dottor Serafini, primo positivo del cluster di Termoli, è uscito dalla terapia intensiva. Applausi e commozione tra i colleghi e una forte vicinanza popolare. Ma come cambierà la vita del medico? Come sta cambiando la vita degli operatori sanitari italiani che lottano contro un virus che è piombato nelle vite di tutti in modo totalmente inatteso e devastante?

Paura, paura e paura. “C’è un’angoscia costante, unita al terrore di ammalarsi o di trasmettere la malattia ai propri familiari”. Dall’inizio dell’epidemia sono morti 63 medici in Italia e gli operatori sanitari contagiati sono 8.358. “Negli ospedali italiani è saltato tutto, e la situazione qui in Molise è difficile da raccontare. Ci sentiamo spaesati per infinite motivazioni. Si fanno turni anche di dodici ore in ambienti in cui è possibile contrarre la malattia”.

L’operatrice sanitaria, che ha scelto l’anonimato, è tornata al lavoro da pochi giorni e vede situazioni di allerta che stanno vivendo i colleghi. “Uno dei fattori più scioccanti è l’alto numero di morti che ogni giorno vengono annunciati in tutto il Paese. Prego affinché si riesca a contenere il virus  in questo piccolo lembo di terra che dicono non esista.  È doloroso anche il decorso della malattia. I pazienti possono avere una specie di crisi sistemica, per cui entrano in ospedale che la malattia sembra sotto controllo, ma poi rapidamente la situazione degenera”.

Nelle parole dell’operatrice si avverte un forte senso di impotenza e frustrazione. È come vivere in uno sliding door, quella porta che segna la separazione tra una vita e un’altra. Una responsabilità che sembra una missione impossibile. “E qui in Molise non abbiamo registrato – e non registreremo – i numeri di Bergamo o Brescia. Immagino quanto tormento possano vivere i colleghi vedendo gli sguardi spaesati dei pazienti e in piena solitudine”.

“Rifletto e credo che guarire da questa ferita non sarà facile. Bisognerà prendere coscienza che un’infinità di legami si sono interrotti e resteranno tali. Si vive in una sorta di dimensione surreale dove ci sono i buoni e i cattivi. Ed è un errore considerare le professioni sanitarie, soprattutto i medici, come degli eroi. Quello che accade negli ospedali e nelle case in questo momento è molto legato, anche se sembra distante. Stiamo tutti soffrendo e allo stesso tempo gioiamo insieme per notizie come quella del collega Serafini. Un momento di profonda felicità che ripaga questo periodo”.