di Lucrezia Cicchese

È lunedì 1 giugno e tra le prime cose che oggi abbiamo realizzato è che tra meno di 48 ore potremmo di nuovo tornare a vedere tutti i nostri cari. Avete presente quella sensazione provata in queste settimane in cui si è voluto, anche solo per un attimo, toccare l’altro, stringergli la mano, abbracciarlo?

Il pensiero di poterlo fare in questi mesi è stato inevitabile. Quante volte abbiamo sentito l’esigenza di poter percorrere la città – o attraversare i confini regionali – e andare dalle persone amate? Quante volte abbiamo sentito la necessità di guardare l’altra persona e dirgli che era finita? Abbiamo vissuto, in questi mesi, a volte dicendo parole scontate, scuse non dovute, abbiamo trattato il virus come si fa con la meteorologia e poi nella maggior parte dei casi ci siamo riportanti in linea tutti sull’attenti. E abbiamo proseguito la vita separata e in molti casi non tornerà più ad esser condivisa. Il virus ha portato scompiglio. Il virus ci ha rubato attimi di vita che non torneranno e non sarà possibile farli tornare.

Ora, non è che sia tutta tragedia. Anzi. In molti casi tutto questo sarà un bene. Di fronte agli uomini bugiardi dovremmo sempre tenerci alla larga e dalle donne arriviste dovremmo sempre mantenere quella forma di attenzione per non rischiare di trovarci in valanghe di accuse infondate. E dietro quelle mascherine che ci accompagneranno ancora per mesi abbiamo capito che siamo stati distanti oggi per riabbracciare domani, ma quelli che ci saranno davvero mancati perché oggi più che mai siamo pronti per essere noi stessi. Pronti per rischiare (per) il nostro sentire. Pronti per andare in nuova leggiadria.