È diventato quasi un intercalare “il paese si spopola perché non ci sono servizi e perché non c’è lavoro. Restano solo gli anziani”.

Allora partiamo da questo. Dove va ricercato il motivo di questa mancanza?

I proclami delle istituzioni ci sono. A essi molto spesso si uniscono delle azioni. Interventi in termini di finanziamenti, che però a un certo punto si bloccano.

Perché arrivano i finanziamenti ma non vengono spesi?

Molto spesso perché manca la programmazione. Alla base, dunque, è necessario che i sindaci intercettino con tempestività le risorse. Anche grazie a professionalità specifiche e capaci, di cui dotarsi per non perdere l’opportunità.

Il tallone d’Achille è la lentezza delle amministrazioni. Lentezza nella progettazione degli interventi, nei controlli e nella certificazione della spesa.

A disegnare questa situazione è anche Andrea Ciffolilli. La spiegazione dell’esperto di politiche europee per lo sviluppo regionale e l’innovazione è chiara. “Accanto alla complessità oggettiva dei regolamenti europei pesa la scarsa capacità progettuale e amministrativa, che chiama in causa la preparazione della pubblica amministrazione”.

Secondo l’ANCI “i tempi in cui maturano e si consolidano le scelte di programmazione risultano dilatati. Mediamente il processo dura dai due ai tre anni dell’avvio del ciclo. Così – aggiungono – le scelte programmatiche non sempre risultano coerenti con le priorità dei Comuni in sede di condivisione e dei programmi operativi”. La necessità poi di un ulteriore passaggio di verifica e di coerenza degli interventi porta all’allungamento dei tempi.

Dunque, procedure troppo complesse di rendicontazione e certificazione delle spese, come anche la procedura di controllo, porta alla mancata spesa dei finanziamenti e all’interruzione degli interventi.

Come vengono spesi i finanziamenti?

Nella programmazione europea 2014-2020 sono 53,2 i miliardi complessivi messi a disposizione dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr) e dal Fondo sociale europeo (Fse). A fine 2019 la capacità complessiva di assorbimento di tali risorse si è fermata al 28,53%. Un dato che resta tra i più bassi dell’intera Unione.

In particolare, i finanziamenti del Fesr sono destinati ad aiutare i giovani Neet nella ricerca di un posto, a promuovere l’imprenditorialità, a ricollocare i disoccupati over 45 e finanziare l’aggiornamento delle lavoratrici che rientrano dalla maternità. Mentre i soldi del Fse dovrebbero finanziare lo sviluppo sostenibile, la competitività delle piccole e medie imprese, la ricerca e le nuove tecnologie, l’istruzione, la messa in sicurezza delle scuole.

Allora nello specifico, attraverso un grafico, mostriamo quanto è stato speso e quanto resta da spendere quasi al termine del programma di finanziamento.

Secondo i dati, su una spesa complessiva messa a disposizione dal Fesr e dal Fse al Sud, il Molise è la regione meno virtuosa. Ha infatti certificato solo il 26,02% della spesa. Per le altre regioni del meridione, in particolare per il Fondo europeo per lo sviluppo regionale la percentuale, anche se di poco, sale.

Al centro, bene per la Toscana che arriva al 40,24% per il Fesr e al 34,81% per la certificazione del Fse.

Al Nord meglio solo per l’Emilia-Romagna che ha certificato il 43,32% del Fesr e il 38,73% del Fse.

Il dato di fatto è che quasi al termine del periodo di programmazione nessuna regione italiana è riuscita a certificare neanche la metà dei fondi messi a disposizione dall’Unione Europea.

I dati poi certificano che, se l’Italia è al di sotto della media europea in termini di programmazione e di spesa, la parte della penisola dove i fondi si perdono in una voragine di gare irregolari e incapacità gestionali è il Mezzogiorno.

Cosa significa questo?

Quando si pensa alle strade fatiscenti, alle infrastrutture che non funzionano, alla mancanza di incentivi per le imprese o alle poche azioni per ricollocare i disoccupati, le motivazioni sono legate alla scarsa qualità della governance.

C’è una lungaggine nella programmazione e di conseguenza si allungano i tempi per la messa in atto degli interventi.

In una piccola regione come il Molise in questo nuoce il cosiddetto clientelismo. Gare d’appalto assegnate secondo criteri non sempre troppo trasparenti. Interventi bloccati, per ricorsi impugnati. Cantieri fermi. Procedure bloccate. Soldi che non vengono spesi.

Tutto questo perché manca programmazione e organizzazione.

A suggerirlo è anche Francesco Grillo docente di politica economica e visiting scholar all’università di Oxford.

“A mio avviso – sottolinea Grillo – dovremmo innanzitutto partire dalla consapevolezza che il problema del Sud non è in termini di risorse. I finanziamenti sono ingenti e la questione della loro spesa efficace deve diventare oggetto di dibattito in grado di coinvolgere le opinioni pubbliche che ne pagano il conto. Anche perché spendere bene questi soldi può essere sufficiente per fare una differenza significativa in termini di crescita dell’intera Italia”.

Secondo il docente, infatti, per spendere bene queste risorse c’è bisogno di organizzazione. Di persone competenti. Di incentivi che premino chi ottiene risultati e scoraggino chi spreca. Troppo spesso, invece, si sono mantenute sempre le stesse squadre – dirigenti pubblici e consulenti – nonostante le sconfitte.

“Ormai – commenta Grillo – il ritardo di sviluppo sembra essere vissuto dai cittadini meridionali come condizione permanente. A cui consegue la dipendenza dall’aiuto pubblico. Una specie di metadone che tiene in vita classi dirigenti (fatta di politici, consulenti, commercialisti, avvocati, formatori e altri mestieri nati attorno ai fondi strutturali).  Persone che hanno fatto da tappo allo sviluppo del Sud, espellendo la parte migliore di tante generazioni. In realtà per gestire le politiche di sviluppo – che, sempre, di più sono fondate sull’innovazione e sulla specializzazione di Regioni e città – occorrono competenze nuove, in alcuni casi sofisticate”.

Allora una giusta programmazione, fatta nei tempi e nella collaborazione, ma soprattutto un cambio generazionale ai vertici, porterebbe l’Italia a rientrare nella media delle altre nazioni europee che ben fanno.

Anche regioni più piccole, e in particolare quelle del Mezzogiorno, si troverebbero sulla stessa linea europea. Inoltre, per gli stessi cittadini, delle aree interne, che più risentono di una mancanza di programmazione sarebbe più facile vivere in un territorio ancora troppo fragile.