C’è un’Italia che rischia di perdere la sua identità. Si tratta di quel territorio che negli anni ha visto gente andare via, saracinesche abbassarsi, scuole chiudersi, uffici postali – lì dove sono rimasti – aprire a giorni alterni. Un solo bus di linea, partire la mattina e tornare la sera e strade di collegamento tra un paese e l’altro sgretolarsi.

Sono i Comuni delle aree interne dell’Italia, che contano poche centinaia di abitanti. Borghi di un Mezzogiorno a rischio scomparsa. Non vogliono arrendersi alla desolazione e non ci stanno a chiudere il lucchetto di un cancello d’ingresso, per riaprirlo solo con l’arrivo della bella stagione per chi torna dalle grandi città per le vacanze. Sono paesi che, nonostante ciò, hanno tutte le prerogative per rialzarsi.

Per ridare vigore a questi territori è stata varata la legge 158 ‘Piccoli Comuni’ del 6 ottobre 2017.

Il Molise è il simbolo delle aree interne italiane ed è anche la regione che più di ogni altra rappresenta i piccoli comuni. Su 136 comuni della regione ben il 92% sono considerati piccoli comuni.

La legge porta misure per il sostegno e la valorizzazione di questi borghi, quelli al di sotto dei 5000 abitanti. Ma in realtà molti borghi del Molise sono al di sotto dei 2000 e anche 1000 abitanti. Tanti contano poche centinaia di residenti.

La normativa, approvata all’unanimità, ha come fine ultimo quello di introdurre misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei loro centri storici.

Il professor Pazzagli, già direttore del Centro di Ricerca per le Aree Interne e gli Appennini con un gioco di parole ha definito i piccoli comuni grandi.

Forse sono piccoli dal punto di vista demografico, ma spesso questi comuni hanno grandi territori, territori complessi e hanno grandi patrimoni”.

Si tratta infatti di patrimonio naturale, rurale, storico-culturale. Ma anche di un patrimonio di valori.

Rappresentano infatti “l’altra faccia di un’Italia che ha bisogno di ripensare a sé stessa”.

La normativa prevede la possibilità per i piccoli comuni di recuperare e riqualificare zone di particolare pregio nei centri storici e promuovere la realizzazione di alberghi diffusi.

Quindi sarebbe necessario considerare i piccoli comuni e le aree interne non più per quello che manca, ma per quello che hanno. Ripartire quindi da ciò che c’è a livello strutturale e allo stesso tempo anche dal patrimonio, dalla storia, dall’identità e dalla coscienza che ogni territorio – anche il Molise – nasconde.

Una sinergia tra le istituzioni che dovrebbero prendere coscienza del valore dei piccoli comuni e delle aree interne, che coprono il 60% del territorio italiano, e chi ha avuto il coraggio di restare in questi posti, che allo stesso tempo dovrebbe avere una maggiore coscienza di quello che c’è.

Qualcosa, dunque, che ha un valore inestimabile che però viene trascurato. A coprire gli occhi e le coscienze sono anche le tante difficoltà e le mancanze. È evidente che chi non tocca con mano non riesce a percepire i disagi.

Non prendendo coscienza di quello che manca e quello che serve per poter vivere in un piccolo territorio si incentiva lo spopolamento e si ‘invitano’ quelli che ci sono ad andare via. Per questo bisognerebbe aiutare i paesi a vivere ingegnandosi per contrastare lo spopolamento, la rarefazione produttiva, la perdita dei servizi.

“L’unico modo per ridare fiato a queste realtà e ridare voce alle aree che l’hanno perduta – la riflessione di Pazzagli – è riportare i servizi in quelle zone. Nel tempo invece a livello nazionale e regionale si è attuata una strategia politica che ha teso a ridurre i servizi stessi”.

Ma anche incentivare il patrimonio esistente e favorire la residenzialità. E allo stesso tempo misure che agevolino la vita nelle aree interne. Puntare quindi all’auto impresa, alle cooperative di comunità. Forme piccole e snelle che possono rappresentare molto per questi territori e aiutarli a “rimettersi sulla via di un corretto governo del territorio adottando il riuso del patrimonio territoriale piuttosto che seguire un modello urbano che non è adatto alle aree interne”.

La legge (articolo 3) inoltre prevede un Fondo per lo sviluppo strutturale, economico e sociale dei piccoli comuni. Necessario al finanziamento di investimenti diretti alla tutela dell’ambiente e dei beni culturali, alla mitigazione del rischio idrogeologico, alla salvaguardia e alla riqualificazione urbana dei centri storici. Ma anche alla messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, del patrimonio edilizio e degli istituti scolastici, nonché alla promozione dello sviluppo economico e sociale e all’insediamento di nuove attività produttive. Oltre al collegamento alla banda ultra-larga, la tutela dei prodotti a chilometri zero.

Elementi essenziali affinchè tali territori possano rianimarsi e si favorisca lo spostamento verso quei comuni che hanno condizioni ambientali e sociali migliori delle periferie urbane.

Il testo è trasversale a più ministeri e diventa farraginoso da attuare. Allo stesso tempo il fondo previsto dalla normativa prevede delle procedure burocratiche, che per un piccolo territorio potrebbero essere anche troppo complicate.

Procedure, quindi che dovrebbero essere snellite affinchè le azioni introdotte si realizzino in breve tempo.

E, dopo due anni dall’approvazione, a chiedere che si spinga il piede sull’acceleratore, anche all’indomani dell’emergenza sanitaria, è Massimo Castelli, coordinatore nazionale Anci piccoli Comuni e sindaco di Cerignale.

“I contenuti e i principi fissati nella legge 158 del 2017, qualora pienamente attuati, consentirebbero quel sostegno alla valorizzazione dei territori che tutti oggi sembrano riconoscere necessaria in tempo di Coronavirus. Qualità della vita, prodotti a km 0, spazi sconfinati tutti da vivere ma non solo nel fine settimana, storia, cultura, identità locali ma anche buone pratiche di innovazione e di uso razionale delle risorse, caratterizzano il 54% del territorio nazionale amministrato dai piccoli Comuni ma oggetto però da troppi anni di uno spopolamento che sembra inarrestabile”.

Secondo Castelli, infatti, l’emergenza sanitaria ha portato a ripensare le politiche del territorio. Non si può perdere tempo e correre il rischio di incentivare la progressiva scomparsa di mezza Italia. “Sarebbe paradossale non potersi avvalere almeno per il 2020 di un fondo già previsto e finanziato nella legge 158 proprio per lo sviluppo strutturale economico e sociale dei piccoli Comuni. Fondo che dal 2017 ad oggi ha accantonato circa 85 milioni di euro ma è ancora del tutto inutilizzato. Non ce lo possiamo permettere. Come non ci possiamo permettere – continua – che si crei sempre più una Italia a due velocità, quella dei Frecciarossa e della banda larga da un lato e quella delle corriere e delle strettoie della connessione internet e della telefonia fissa e mobile dall’altro, come emerso clamorosamente in questo lungo tempo di quarantena”.

Non si può, dunque, più aspettare e bisogna dare ossigeno alla ripresa socioeconomica di questi territori, combattendo lo spopolamento, a beneficio dell’intero Paese. Come evidenziato dall’Anci è necessario “rifinanziare adeguatamente la legge con un fondo da rendere strutturale, che vada ben oltre i 25 milioni di euro annui di cui a oggi è dotata tra l’altro solo fino al 2023”.

Chi vive quel pezzo di Italia lo sa, ancora di più oggi che i piccoli comuni sono considerati morbidi cuscini dove adagiarsi all’indomani dell’emergenza sanitaria. I veri attori delle aree interne, infatti, sono coloro che hanno avuto il coraggio di restare.

I processi di sviluppo locale che possono conoscere le aree interne – ha commentato Pazzagli – devono partire dalla partecipazione dei cittadini e delle comunità”. Quindi da chi conosce il territorio.

È necessario allora rileggere il territorio in modo che la conoscenza si trasformi in coscienza. Riacquistare così consapevolezza di quello che c’è. Ma soprattutto non fermarsi e accelerare affinchè i vari processi e le diverse azioni si incanalino sulla giusta via.