Normalmente i miti sorgono ed esprimono i bisogni di una determinata società, quindi il sorgere del mito di Che Guevara non è che la risposta al bisogno di cambiamento della società in cui viviamo. Sono queste le parole che ancora riecheggiano dal 27 novembre 2017 tra le vie di Campobasso, quelle di Juan Martin Guevara il fratello del Che.

Una giornata intensa scandita da divertenti aneddoti di vita quotidiana e inediti scorci di un ambiente familiare colto e anticonvenzionale nell’Argentina tra gli anni Trenta e Sessanta. Juan Martin ha lasciato un’intensa, e a tratti dolorosa, incursione nella propria storia privata, lontana e recente. È stato come riconciliarsi con un pezzo di storia riannodando il filo dei ricordi. Si, un giorno difficile da dimenticare.

Da allora molto è accaduto. Troppo. E doveva giungere sibillina una crisi sanitaria per paralizzare il mondo in tutti i suoi aspetti. In un pianeta colpito in ogni sua parte, dal virus, ogni individuo si riscopre attore di un destino comune. La strada per la salvezza si costruisce oltre le bandiere nazionali, al di là di qualsiasi particolarismo, e solo grazie a un lavoro di cooperazione internazionale. Non è più il momento di gareggiare per accaparrarsi il titolo di “potenza economica dell’anno”, è il tempo di riformulare tutta la struttura sociale ed economica.

Ripercorrendo il credo di Ernesto Guevara inevitabile non soffermarsi sulla crisi innescata dal covid-19 e come la dignità delle persone sia – ancora una volta – venuta meno. Il ruolo chiave oggi sono le persone che devono “comprendere cosa e come ripensare”.

Lo diceva anche Ernesto, “Ha più valore, un milione di volte, la vita di un solo essere umano che tutte le proprietà dell’uomo più ricco della terra”. Ed è, forse, questo che dovremmo iniziare a comprendere?