“Le nuove linee guida, basate sull’evidenza scientifica, prevedono l’interruzione volontaria di gravidanza con metodo farmacologico in day hospital e fino alla nona settimana. E’ un passo avanti importante nel pieno rispetto della 194 che è e resta una legge di civiltà del nostro Paese”.

Con queste parole il Ministro della Salute, Roberto Speranza, ha annunciato la nuova direttiva sull’aborto farmacologico, una decisione giunta dopo il rilascio del parere del Consiglio superiore di sanità che ha comportato l’aggiornamento delle linee guida in materia, in stand by ormai da 10 anni. Ai tre giorni di ricovero previsti fino a questo momento si sostituisce la possibilità di somministrare il farmaco in consultorio o in ambulatorio e fino alla nona settimana di gestazione, prolungando il termine di 15 giorni circa. Dopo l’assunzione della RU486 la paziente potrà rientrare a casa e, trascorse due settimane, dovrà sottoporsi ad una visita di controllo.

Le discussioni sul tema non sono mancate nell’ultimo periodo, all’indomani della decisione della Regione Umbria di imporre alle donne il ricovero in ospedale, in antitesi con la vicina Toscana che ha scelto di perseguire la strada europeista. Un passo in avanti quello compiuto dal Ministro, è innegabile, ma nel nostro Paese sono ancora molti gli ostacoli presenti lungo questo delicato percorso; in primis, l’alta percentuale di ginecologi obiettori presenti sul territorio.

La novità sostanziale della direttiva ministeriale riguarda, come detto, il ruolo strategico dei consultori, luoghi indicati per la somministrazione della pillola abortiva; sarà interessante capire  che tipo di ricadute pratiche si avranno, ad esempio, nella regione Molise dove i consultori rischiano addirittura di chiudere. E’ evidente che si renderà indispensabile rivedere il sistema e il funzionamento di questa rete di servizi, ripensandone l’organizzazione e, come suggeritoci tempo fa dal dott. Michele Mariano, anche l’organigramma.