Calcinacci, muri crepati, polvere che invade le strade e tutto intorno dolore e silenzio. È questa l’immagine che si presenta davanti agli occhi se si pensa al terremoto e alle zone dell’Italia colpite dal sisma. Lo stesso silenzio che unito alla malinconia e alla rassegnazione è quello che avvolge i piccoli borghi delle aree interne vittime di decadimento e di spopolamento.

A volte queste realtà si fondono. Sono allo stesso tempo parte integrante di un’Italia divisa a metà. Quella delle grandi città, quella delle metropoli, della digitalizzazione, dell’economia che viaggia veloce. Di un’Italia che corre sull’alta velocità e delle grandi aziende con migliaia di dipendenti. Una parte di Italia che si contrappone a quella lenta, immersa nella natura. A quella delle infrastrutture precarie e dei sevizi carenti. A quella che però ha bisogno di ripartire per poter dare tanto a chi decide di continuare a viverla.

Ripartire dunque attraverso la ricostruzione e il recupero.

Elettra Rinaldi Capo della Segreteria Tecnica presso il Commissario Ricostruzione Sisma 2016 sostiene che per far ripartire questi territori – aree interne e zone del sisma – è fondamentale costruire una progettualità che parta dalle risorse del territorio stesso, dalla sua storia e dalla sua identità.

“Queste aree sono ricche di tesori ambientali, culturali, sociali, artigianali, enogastronomici, agricoli, fatti di una cultura materiale che rischia di essere smarrita, impoverendo tutti noi. Solo imparando prima a “leggere” la storia e la capacità di sorreggersi autonomamente di queste zone, ascoltando chi qui è sempre vissuto o ha scelto di vivere, lavorare, fare impresa, si può immaginare uno sviluppo che non sia fine a sé stesso ma abbia la capacità di sostenere le future generazioni”.

Ed è importante partire da quello che c’è. E il recupero di quello che esiste parte da lontano e negli anni ha costituito lo sviluppo delle aree interne. Le popolazioni infatti hanno imparato a utilizzare tutto quello che il territorio offre.

“Ogni elemento, dalle costruzioni in pietra alla cultura agricola, dalla pratica della transumanza alla raccolta delle erbe, tutto ciò che nei secoli ha caratterizzato una sopravvivenza che non spreca e non consuma, va riscoperto e valorizzato. Non per una sorta di nostalgia dei tempi andati, ma perché quella cultura ha tanto da insegnare oggi, mentre siamo sul baratro di un consumo irreversibile delle risorse del pianeta”.

Secondo Elettra Rinaldi però non basta fare offerte mirabolanti per attrarre chi deve poi restare a lungo, come potrebbe essere per esempio l’idea di offrire le case ad un euro.

“Bisogna smettere di inseguire fuochi fatui, di pensare a breve termine, di cercare soluzioni semplici. L’attrattività di questi luoghi è nella qualità di vita che sanno offrire: nell’ambiente, nella socialità, nel modo di vivere. Intorno a questo, bisogna costruire quei servizi che consentano a chiunque di poter vivere serenamente nei borghi delle aree interne. Trasporti, sanità, scuola, ma anche la possibilità di trovare un falegname, un idraulico, di andare a fare la spesa con comodità. Possono essere le cooperative di comunità che stanno nascendo, a costituire uno dei nodi di questa rete: ma serve una nuova capacità di ripensare tutte le componenti”.

Tutto dunque deve essere studiato per essere efficace. La ricostruzione, il recupero per una giusta ripartenza parte dalle piccole cose che però sono fondamentali.

“Se si vogliono i turisti bisogna mettere cartellonistica chiara, tradotta anche (almeno) in inglese, info point che siano aperti quando serve e sappiano dare le informazioni necessarie, personale che parli le lingue dei paesi verso i quali guardiamo.

Per attirare residenti nei borghi gli orari degli autobus devono consentire di raggiungere i posti di lavoro o le scuole. Bisogna riuscire ad integrare non la singola azienda, ma la rete dei trasporti. Per i pensionati dobbiamo avere servizi di assistenza e sanità semplici, raggiungibili, efficaci. Tra i servizi sicuramente una priorità va data al superamento del ‘digital divide’. È fondamentale portare nelle aree interne le nuove tecnologie, collegamenti veloci e sicuri, in un post-Covid che ha fatto finalmente scoprire anche al nostro Paese i vantaggi del lavorare da casa. Per utilizzare le parole del politologo Parag Khanna, queste infrastrutture possono rappresentare un nuovo umanesimo, che superi i confini attraverso le connessioni, e che consenta alle aree interne di proiettarsi con orgoglio su uno scenario internazionale”.

Secondo Rinaldi dunque quello che manca è una visione alta nell’insieme e a medio-lungo termine. Non serve pensare a breve termine e cercare soluzioni semplici.

Il tutto poi lo si può individuare in un processo circolare. Niente è indipendente. Né i servizi e tanto meno il lavoro, che nasce e cresce se i residenti restano e altri ne vengono, se i servizi sono efficienti, se si creano le condizioni perché l’economia si stabilizzi, se le risorse sono utilizzate al meglio.

E per fare tutto questo bisogna partire dal sistema.

Ognuno sembra inseguire un pezzo, mentre ciò che manca è la capacità di mettere tutto assieme. I sindaci devono riuscire ad avere una proposta unitaria: come è possibile che anche i piccolissimi Comuni vadano ognuno per conto proprio? Con quale forza possono portare avanti le iniziative, e quale impatto ha sull’efficacia della spesa pubblica la dispersione in mille micro-progetti? L’attenzione alle aree interne deve essere trasversale a tutte le politiche, perché questi territori possono davvero dimostrare di essere una risorsa, e non un costo per soccorrere un territorio marginale. Ritroviamo l’orgoglio, l’identità e la capacità di essere forza motrice dello sviluppo di queste zone: ma possiamo farlo solo guardando al di fuori della singola idea, del singolo comune, con un progetto di largo respiro”.

Dunque, come Elettra Rinaldi sostiene “le case da sole non bastano: occorre creare il tessuto delle comunità” senza lasciare indietro nessuno.

Fare in modo che la vita vissuta di queste terre torni ad essere il centro della loro storia e del loro futuro. La ricostruzione immateriale deve accompagnare quella materiale di borghi e paesi. In questo modo, chi viene da fuori si sentirà accolto in una trama di valore. I giovani sentiranno di essere parte di una storia che si continua a scrivere, in modi e forme nuove, senza voltare le spalle al tanto che esiste ed è esistito. Si parte dall’ascolto, dall’umiltà, dalla riconoscenza e dal riconoscimento. Perché queste terre hanno un grande passato, e su quello va costruito il loro grande futuro”.

E allora ripartendo da una ricostruzione e da un recupero materiale si può arrivare a ritrovare quei valori e quegli ideali che con gli anni troppo spesso ci sono scivolati via. Si può guardare con occhi diversi quell’orizzonte che porta al futuro. Ad un futuro – non troppo lontano – dove i territori marginali e con essi le comunità diventano i veri protagonisti.