di Alessandro Matticola

Holt County, Stati Uniti d’America. A molti non suonerà familiare questo posto, non dirà nulla. Non vi affannate a cercarlo sulle cartine o su Google Maps: Holt non estiste.

Non esiste la città, non esistono le persone che la abitano. Non si sa neanche in quale momento storico si trovi, non c’è un tempo definito. Eppure esiste, la senti, senti i suoi personaggi, le loro vite.

La letteratura americana aveva un genere tutto suo, quello dei romanzi di formazione che raccontano di intere dinastie a volte, di come abbiano fatto la loro fortuna dopo la guerra e di come l’abbiano persa e si siano riscattati o di come sono cresciuti. Di come, insomma, gli americani hanno realizzato il sogno americano. E’ la letteratura del premio Nobel John Steinbeck.

Philip Roth aveva portato questo genere letterario su un piano più contemporaneo, analizzando l’America di oggi. Così come Jonathan Dee, Paul Auster, David Foster Wallace e tanti altri. Kent Haruf lo riporta sul piano classico, quello della letteratura di formazione.

La vita di Haruf è semplicissima come i suoi romanzi. Nasce a Pueblo, in Colorado, nel 1943, da un pastore metodista ed un’insegnante. Si laurea, diventa anche lui insegnante ed inizia a scrivere, ma i suoi romanzi non hanno molto successo.

La fama gli renderà onore solo dopo la sua morte, nel 2014. E i suoi libri arriveranno in Italia un anno dopo la sua dipartita.

Uno stile semplice e diretto. Senza parole ricercate. Semplice come le storie che racconta, lineari. Storie di un’America che molti considerano finita ma che Haruf crede possa esistere ancora. Forse è proprio per questo che le storie sono ambientate nella cittadina immaginaria di Holt: è un passato glorioso che non può tornare.

I 5 romanzi hanno un ordine cronologico ben preciso che in Italia è stato sovvertito ma con un filo logico.

Sono storie divise tra loro, che accadono in momenti diversi. Non vi sono legami diretti, ma un sottile filo rosso che lega tutti i personaggi di Holt e le loro vite.

Viene pubblicata prima la “Trilogia Di Holt” che si apre con “Canto Della Pianura”. La storia di un professore di liceo, Tom Guthrie e dei suoi figli e della moglie, unito a quella dei due fattori Harold e Raymond McPheron, e di una ragazza, Victoria Roubideaux, che rimane incinta del bullo della cittadina, dai momenti di smarrimento a quelli del riscatto.

La trilogia prosegue con “Crepuscolo”. La scena si sposta sui fratelli Harold & Reynold McPheron e su Victoria, diventata madre, che va a vivere con loro e di come la generazione successiva a quella di Tom Guthrie trova anch’essa la via del riscatto.

Poi nel capitolo conclusivo, “Benedizione”, Haruf fa un balzo nel tempo con la storia di Dad Lewis, malato terminale che vede Holt dopo le storie di Victoria, dei fratelli McPheron e di Guthrie, benedicendo i suoi ultimi giorni per quello che ha vissuto ed ha avuto dalla vita.

Non vi sono riferimenti temporali. Tutto è probabile che si sia svolto ieri, un mese fa come 10 o 30 anni fa. Eppure non ci si accorge dello scorrere del tempo, non è quello che conta. Ma quello che la vita ha in serbo: hai sempre la possibilità di riscattarti, anche alla fine dei tuoi giorni. Era il sogno americano, ma anche l’insegnamento di fondo che Haruf ci lascia.

E lo si ritrova anche nei 3 spin-offI della trilogia. Il primo la precede, gli altri due si svolgono in parallelo.

“Vincoli. Alle origini di Holt”, il primo romanzo della saga, come recita il titolo, narra dell’inizio della cittadina. La sua nascita, la sua fortuna. Un racconto ad un giornalista malcapitato e narrato in maniera schietta e diretta ma sempre pulita, come gli altri romanzi. È la storia di Edith e Lyman, sorella e fratello, che gettano le radici di Holt insieme al padre Roy Goodnough e dell’amore tra Edith e il vicino di casa John Roscoe e di come la cittadina diventerà la Holt della trilogia. È la storia di Sanders Roscoe, figlio di John, che racconta le vicende della sua famiglia ad un giornalista troppo curioso per i suoi gusti.

Poi c’è la storia d’amore tra Louis Waters e Addie Moore, diventata nel 2017 un film per Netflix interpretato da Robert Redford e Jane Fonda. “Le Nostre Anime Di Notte” è una storia d’amore tra due vedovi, due persone sole. Una storia semplice, soprattutto pulita, mai banale, mai sdolcinata e mai scontata. E’ una storia che va nel profondo, tanto da chiedersi se sia davvero una storia d’amore. O forse è l’idea dell’amore che vige oggi ad essere frivola oltre ogni misura.

E si arriva così all’ultimo capitolo della saga, “La strada di casa”. La storia di Jack Burdette narrata dall’amico Pat Arbuckle. La storia dell’eroe locale che lascia tutto e se ne va, sparisce senza lasciare traccia per 8 anni, per poi riapparire all’improvviso, col resto della città a guardarlo di sdegno. Secondo romanzo della saga, ultimo uscito in Italia quest’estate.

C’è solo un modo per provare a descrivere l’intera opera di Kent Haruf ed è nell’introduzione di “Vincoli”:

Questo libro è per le spighe di grano, per le mucche, per i cieli d’estate e la neve, per le stelle e l’erba, per la polvere e il dondolo, per una crostata di ciliegie e per le cartoline; ma questo libro è soprattutto per gli acerbi ragazzi che eravamo, per i dettagli in cui ci siamo persi, per i guai che ci hanno ammaccato, e per la porta che siamo riusciti ad aprire, finalmente liberi di vivere giorni più luminosi