di Alessandro Matticola

C’è un prezzo che abbiamo pagato tutti durante il lockdown, quello di aver perso la nostra libertà.

Detta così sembra un concetto abbastanza aleatorio: può significare tutto e nulla, ma abbiamo capito cosa vuol dire poter uscire di casa, andare a fare la spesa o anche vedere un amico o un parente senza avere le tanto sbandierate restrizioni.

C’è chi però ha dato a questo aspetto un valore completamente diverso.

L’appunto arriva dalla Gran Bretagna, da parte del primo ministro Boris Johnson, il quale afferma che i dati sui contagi da coronavirus dei britannici era nettamente superiore a quello degli italiani, in quanto gli inglesi – in parole povere – hanno preferito tutelare il loro diritto alla libertà, piuttosto che restringerla come è successo in Italia e in Germania. D’altronde, commenta Johnson nell’articolo pubblicato sulla testata anglosassone The Guardian, basta guardare agli ultimi 300 anni di storia inglese e confrontarli con quelli di Italia e Germania che hanno visto – in soldoni – vent’anni di dittatura a testa.

In altre parole, il nostro paese secondo il primo ministro inglese, causa fascismo è particolarmente incline per sua natura alla restrizione della libertà personale e quindi una decisione come quella presa per il lockdown è stata presa a cuor leggero.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, noto per essere una persona abbastanza pacata – e forse anche troppo – ha risposto al primo ministro inglese con una frase tanto semplice quanto arguta, durante le commemorazioni per i 25 anni dalla scomparsa del presidente emerito Francesco Cossiga. Mattarella ha affermato che anche gli Italiani amano la libertà, ma allo stesso modo amano anche la serietà che è ciò che ha contraddistinto il loro comportamento durante la fase peggiore dell’emergenza sanitaria. Quella in cui – probabilmente Johnson lo ha dimenticato – anche il primo ministro inglese ha lottato tra la vita e la morte come tante altre persone, con la differenza che è tra i privilegiati che sono ancora tra noi.

Non ci nascondiamo, è stato un periodo difficile e strano per tutti, soprattutto un periodo che vogliamo buttarci alle spalle forse con troppa velocità. Un periodo dove saranno stati commessi tanti errori e dove tanti aspetti non sono ancora molto chiari.

Un periodo dove, questo dobbiamo dirlo, il messaggio dello “state a casa” magari andava mediato in un modo diverso, un messaggio che nel resto del mondo, come è successo in Gran Bretagna, è stato visto come un atto totalitario. Effettivamente la prima sensazione è stata quella, ribadita anche da alcune testate. C’è stato un momento dove il “restate a casa”, verso la fine del lockdown, aveva generato un movimento tellurico di sottofondo da parte della popolazione che stava per emergere ed esplodere, generando una detonazione al pari di un ordigno nucleare. Questo perché il “restate a casa” non è mai stato accompagnato – né dalla politica a qualsiasi livello, né dal presidente Mattarella, né dai media – dal messaggio per cui le cose stavano migliorando perché appunto noi eravamo dentro casa. Si deve rimanere a casa perché non ci sono altre soluzioni, ma non ci sono mai state soluzioni per il dopo, almeno fino a quando non è stato inevitabile la riapertura completa del paese, con le misure economiche arrivate appena prima della fine del lockdown.

Una posizione attendista che non è stata mediata come dovuto, che se accompagnata dai risultati che stavano arrivando e da misure economiche prese magari qualche tempo prima – non raccontiamoci che eravamo convinti che il tutto sarebbe durato 15 giorni come quando nevica e si chiudono le scuole per il maltempo – avrebbe avuto effetti diversi. Perché il punto è questo: noi italiani sappiamo sempre che le cose vanno in un certo modo, ma se non ci vengono imposte e non ce le sentiamo dire a muso duro non le recepiamo.

Ma da qui ad alludere a camicie nere e saluti romani, caro Boris, ci passa un abisso. E forse anche la Gran Bretagna, patria del liberalismo, dalla nostra esperienza avrebbe parecchio da imparare.