Esistono piccole e grandi comunità. Esiste la comunità di un piccolo paese e quella di un unico condominio. Ci sono le social street e le cooperative di comunità. Alla base di ognuna c’è senza dubbio la relazione tra persone.

Uomini e donne, giovani e adulti che si mettono insieme, che si mettono in relazione con un obiettivo comune. Un obiettivo che può essere quello della promozione culturale o sociale, turistica o del territorio. L’obiettivo dell’agire per il bene comune o per perseverare un interesse comunitario.

Ma la comunità è quella in cui ognuno di noi è radicato. E’ quella che diventa una seconda pelle e a volte non si ha neanche la consapevolezza di esserci dentro.

Ma ci si sente davvero parte di una comunità, di quella comunità di appartenenza?

Può succedere che anche laddove il senso di comunità può sembrare ben radicato e più forte perchè ci si conosce tutti, non sempre ci si sente parte integrante. Non ci si sente coinvolti.

Cosa coinvolge, dunque, i membri di una comunità?

L’essere ascoltati. Mettere a disposizione degli altri i propri saperi, le proprie competenze. Il poter e saper fare. E (forse) non essere giudicati. Ognuno, dunque, deve saper e poter dare il proprio contributo.

Una sinergia tra persone, tra generazioni. Se negli anni passati la “convivenza” tra generazioni diverse era più semplice, oggi si è sfilacciata. I giovani, gli adolescenti di oggi si sentono sempre più distanti da chi ha vissuto la propria giovinezza in decenni passati, pensando che non possa esserci un ponte che lega le generazioni diverse.

E’ evidente che non è necessario un ritorno al passato, ma quello che potrebbe essere utile è un passaggio del testimone e da lì costruire il nuovo senza staccarsi da ciò che è stato. Senza allontanarsi da quello che le generazioni passate hanno fatto per il territorio, ma che si può arricchire e rinnovare con il talento, con le competenze e con le energie delle persone che ci sono e di quelle che verranno.

Se qualcosa potrebbe far pensare che il divario generazionale è più forte ed evidente in territori più grandi, non si considera il fatto che anche in piccoli paesi, come quelli del Molise, a volte i giovani si sentono fuori dalla partita, dalle decisioni importanti. Dalle scelte che la comunità stessa deve prendere. E’ lì che vorrebbero mettersi in gioco, disposti a mettere a disposizione degli altri e del territorio i propri saperi, le proprie competenze. Vorrebbero essere ascoltati e non solo sentiti. Perchè ascoltare significa riempirsi delle parole dell’altro e quindi vorrebbero riempire gli altri delle loro idee attraverso le parole che poi devono essere messe in pratica.

Ma il senso di comunità è anche comprendere i bisogni e camminare insieme verso gli obiettivi che possono soddisfare quei bisogni. E consolidare il senso di comunità può essere di aiuto e produttivo per il territorio, soprattutto laddove prevalgono il campanilismo o le spaccature.

Sarebbe dunque necessario rieducare al senso di comunità e prima ancora che dai figli bisogna partire dai genitori. Prima ancora che dai giovani, bisogna farlo con gli adulti.

Superare il senso di indifferenza che si accumula e si radica dove emerge l’apatia e lo scoraggiamento.

Allora sarebbe necessario che ognuno si ricucisse addosso il proprio mantello comunitario e che sia benefico per se stesso, per gli altri e per il proprio territorio.