di Lucrezia Cicchese

Era il 22 marzo scorso e scrivevo così:

“Avreste mai pensato di dovervi giustificare per una passeggiata? Avreste mai pensato di regolare le vostre giornate intorno al bollettino della Protezione civile? Vi sareste mai aspettati decine e decine di bare trasportate dall’esercito senza un familiare, nel silenzio totale? E invece. 

Nessuno avrebbe mai pensato che dal 21 febbraio i giornali si sarebbero fermati a una sola parola: Coronavirus. Prima – e ancora – ha bombardato il Nord del nostro Paese e subdolamente sta scendendo al Sud. Mai l’avremmo immaginato, mai avremmo visto centinaia di cervelli in fuga fare ritorno all’ovile. E invece.

E penso che, diciamocelo tra di noi e anche un po’ egoisticamente, il contagio era in Cina e per tutto il resto del mondo andava bene così. Poi però è arrivato in Italia, nelle nostre città e poi nelle nostre case. Si, nelle nostre vite”.

Da allora sono passati mesi. Il lockdown lo abbiamo salutato il 18 maggio credendo non avrebbe più fatto irruzione nelle nostre vite. Ma l’ombra è lì. Non ci abbandona mai ed è più pressante. E in questo vortice di crisi sociale ed economica gli italiani – in troppi – hanno dimenticato cosa ha provocato il virus tra marzo e aprile spazzando via tutti i buoni propositi.

La storia ci ha insegnato che ci sarà un dopo e spesso disattende tutte le aspettative. E io oggi, 17 ottobre, con i contagi che salgono e con la paura di vedere un mio caro soffrire ricordo a me stessa cosa non voglio dimenticare.

Io non voglio dimenticare l’importanza di rispettare le regole e nemmeno chi, ancora oggi, quelle regole le definisce folli. Intanto il non rispetto di quelle regole sta causando morti e questo non lo dobbiamo cancellare.

Non voglio dimenticare l’informazione contraddittoria, sensazionalistica, emotiva e approssimativa che ha accompagnato questi mesi. L’informazione verificata, chiara è la base di tutto e nessuno lo ha fatto con rigore. E le chiacchiere e le accuse sono inutili. Nessuno è immune all’errore per quanto non si voglia. I fatti parlano da sempre.

Non voglio dimenticare che quando tutto questo sarà finito dovremmo tenere gli occhi aperti rispetto a chi gestisce gli ospedali. Non cerchiamo tra i politici a Roma i responsabili dei nostri ospedali. La sanità viene gestita dalla Regione. E i responsabili dell’eventuale malasanità – che tanto eventuali non sono, ma vabbe’ – sono intorno a noi e in mezzo a noi. Da domani, che arriva domani, occhi aperti e nessuna pietà.

Non voglio dimenticare che l’origine della pandemia risiede nel nostro rapporto con l’ambiente che abbiamo usato e sfruttato fino al collasso.

Non voglio dimenticare l’egoismo di chi in un momento di difficoltà ha curato ancora una volta solo i propri interessi.

Non voglio dimenticare che a quasi quaranta anni abbiamo – si dico a noi degli anni ’80 – un obbligo morale a cui non possiamo più sottrarci.

Non voglio dimenticare.

E mentre ci sarà un momento, lento, ma ci sarà di discesa non voglio dimenticare che il tempo questa volta c’è per arrivarci preparati. E niente pacche compiaciute sulle spalle, poi. Oggi abbiamo l’obbligo di non volere dimenticare perché questo grande vuoto, se non agiamo sin da ora, ci porterà definitivamente al crollo.