di Alessandro Matticola

 

Per tutti gli anni ’90 è stato il rap. Poi negli anni 2000 è stato l’hip-hop. Si è passati dal martellamento di Jovanotti, Frankie Hi-Ngr Mc e Gemelli Diversi a Mondo Marcio, Fabri Fibra e Salmo.

E poi sono arrivati gli anni 2010 e la musica è cambiata di nuovo.

Dalla protesta si è passati alla provocazione e la scena underground ha lasciato il posto alla Trap. Achille Lauro, Sfera Ebbasta, Ghali, Capo Plaza, Gue Pequeno…

Testi che sembrano privi di senso, ma che a leggerli nascondono provocazioni e accuse alla realtà che ci circonda.

Ma vediamo da dove è iniziato tutto.

Anni 2000, Atlanta, stato della Georgia, USA. Gli spacciatori sono dappertutto. Così come le case abbandonate, trapped. Non sono di nessuno, quindi, sono di chiunque. Inizia il fenomeno delle “Trap Houses”, case abbandonate che vengono occupate e dedite allo spaccio di stupefacenti. Non a caso, nello slang americano, trapping vuol dire spacciare.

La musica che gira in quegli ambienti è quella di protesta che gira anche in Italia. Rap ed Hip Hop su tutte. Fino a quando non assume una forma tutta sua. Non c’è bisogno più delle rime, né di combattere battaglie rap come quelle di Eminem in 8 Miles. I testi riguardano la vita dei sobborghi. Lo spaccio, la dipendenza, le violenze, le scorribande. Ironia e provocazione.

La melodia, già minimale nel Rap e nell’Hip Hop, diventa ancora più minimal. Kick Bass molto pesanti e Sub ancora più potenti, con una buona dose di musica elettronica. Vocoder e autotune a modificare la voce.

Anche lo stile si discosta da Rap e Hip Hop. Da magliette e cappellini a pantaloni extra large e canotte, ad abiti che quasi vogliono ostentare il lusso. Collane, anelli, occhiali firmati e abiti attillati. Dall’abbigliamento alternativo per essere fuori dagli schemi, a quello trasandato che vuole quasi esprimere un malessere, al volersi mettere alla pari se non erigersi al di sopra degli altri per far sentire la propria voce.

Non è facile definire la Trap. È un fenomeno nuovo, ancora tutto da scoprire e da comprendere. Provocatorio, fuori dagli schemi e a volte anche “quasi fuori legge”, ma che ha fatto presa immediatamente tra i millennials.

Come Achille Lauro, pseudonimo di Lauro De Marinis, che ha anche un ché di molisano in quanto il padre, con il quale ha litigato ed ha rotto i rapporti, è docente di diritto del lavoro all’Unimol. La classica storia dei grandi rockers trasportata in un altro genere musicale. Un ribelle che si ribella anche al suo genere, tanto da definire in un’intervista al Rolling Stone la musica trap “rap per locali con spogliarelliste”, candidandosi a creare una scissione, una corrente, all’interno di un genere appena nato.

Playlist di Spotify e YouTube sono letteralmente inondate, come inonda la protesta per questo genere spesso denigrato e che a volte ha visto i suoi esponenti essere coinvolti in episodi non proprio positivi. Come il concerto di Sfera Ebbasta nel dicembre 2008 ad Ancona, finito in tragedia con 6 morti. Oppure Traffik, l’esponente della trap romana arrestato per droga la scorsa settimana.

Ma di solito accade così per tutti quei fenomeni, positivi o meno, che restano nella storia. O no?