Finalmente, a colpi di decreti su cui pensarci la notte, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte sta iniziando a capire che la situazione è drammatica.

Ma il problema è che se la sta facendo addosso dalla paura, oramai è sempre più chiaro. E soprattutto, sta ammettendo una sconfitta: quella di non aver saputo gestire la prima fase dell’emergenza, passata a ripetere come una cantilena “state a casa” senza trovare soluzioni di continuità, aiuti economici che sono arrivati solo alla fine del lockdown e la costrizione a liberare tutti.

E la cosa è palese per l’incertezza che sta divampando nel governo in questi ultimi 15 giorni. 3 Decreti nel giro di una settimana e mezzo. Il secondo come un addendum del primo ed il terzo che inizia a far trapelare, finalmente, gli artigli di cui c’è bisogno ora.

Perché se così non fosse, a questo punto spieghino per quale ragione un positivo asintomatico era un pericolo a marzo, tale da far decidere di bloccare tutto e adesso non lo è in quanto tale, non avendo sviluppato i sintomi della malattia.

La paura la si vede dai decreti emanati, l’ultimo – il cosiddetto “semi-lockdown” – che era necessario ma che più pasticciato non poteva essere. Le palestre ed i centri sportivi presi in giro per una settimana ancora, non si sa per quale motivo. Ristorazione penalizzata con chiusura alle 18:00 e nuovo stop per la cultura, con cinema e teatri ma non per i Musei, non per i negozi al dettaglio, non per i miliardi profumati del calcio che continua a porte chiuse. E sarebbe bello capire come il virus sia in grado di fermarsi di fronte all’arte, allo sport e allo shopping, visto che solo il governo ne sia convinto.

Non c’è che dire, sono solo due i settori che pagano il conto questa volta. E non si capisce il perché.

Non si capisce il perché di un decreto fatto a metà, di un coprifuoco che sarebbe l’unica soluzione ideale se davvero il problema sono gli assembramenti, o forse non lo sa neanche il Signor Presidente quale sia il problema, perché non ci sta capendo più nulla.

E il popolo inizia ad insorgere. Camorra? Criminalità organizzata di altro stampo? Non si sa. Una cosa è certa: il malcontento di una gestione che sta diventando fallimentare, che si stava muovendo nel sottofondo alla fine della scorsa primavera prima della fine del lockdown, sta emergendo e a Napoli e Roma ha fatto sentire la sua voce. L’esasperazione è arrivata a tal punto che anche la stampa, una volta primo veicolo per la diffusione di un’idea, è diventata un nemico. E forse sarebbe il caso di un momento di riflessione anche sulla nostra professione, se la situazione è arrivata a questo punto.

Il popolo non solo inizia ad insorgere, ma anche ad organizzarsi. Come nel caso di “R2020 – Resistenza, Ribellione, Rinascita” con un sito dedicato, nel quale si sta organizzando la ribellione pacifica – almeno a parole – a questa situazione.

E resta fuori ancora una volta la scuola. Scuole superiori a casa, scuole medie ed elementari in classe. La ministra Azzolina proprio non riesce a calarsi in questo ruolo. Incensata ed investita di un compito che non riesce a concepire. E sinceramente non si capisce come si faccia ad ammettere ancora un’indigenza tale all’interno di un governo nazionale, per non essere troppo volgari.

Passo indietro ottenuto dalle regioni sulla chiusura dei confini, ma saranno in grado di gestire la situazione?

Il presidente della regione Molise Donato Toma ad esempio, che non è stato in grado neanche di spendere due parole per difendere la sua regione nel tavolo Adriatico con Marche e Abruzzo davanti ai microfoni e che ha dichiarato di aspettare come scienza infusa le decisioni del governo centrale, sarà in grado di gestire la situazione oppure la sua inettitudine continuerà a prevalere, magari con situazioni di comodo come avvenuto ad esempio per la Gam, grazie alla cassa covid? Magari arriva una soluzione anche per i trasporti come la manna nel deserto per Mosè.

Ma il presidente Toma può dormire sogni tranquilli, come tutti gli altri governatori. Perché di certo non sarà l’ultimo decreto che il presidente Conte emanerà. Magari di nuovo al giorno di festa – la domenica – magari sempre all’indomani di un sabato sera di fuoco passato a decidere cosa fare.

Il popolo sta iniziando a muoversi: pugno duro e attributi virili ben in vista da subito, o non solo sarà la fine del governo Conte, ma c’è il rischio che se il popolo insorge con più violenza, guidato da chicchessia, potrebbe essere la fine di qualcos’altro.