di Alessandro Matticola

 

La Polonia è il paese più tormentato della storia europea. Disgregato, ricostituito e dominato nel corso dei secoli, l’unico aspetto che ha fatto si che mantenesse una propria identità è la religione cattolica, sotto la quale è stato creato il paese.

Probabilmente anche questo aspetto, al di la dell’orientamento del governo, avrà influito sulle scelte del Tribunale Costituzionale che nella giornata di venerdì su una richiesta proprio del governo di destra a maggioranza sovranista e cattolica, ha deciso che non si potrà interrompere la gravidanza per malformazione del feto.

E pensare che solo 30 anni fa la Polonia viveva sotto un regime filo comunista che consentiva esattamente il contrario. Tanto che il cineasta polacco Krystof Kieslowsky – noto in Italia soprattutto per la trilogia dedicata ai colori della bandiera francese – nella sua opera monumentale “Il Decalogo” dedicata ai 10 comandamenti, affronta il tema del secondo comandamento proprio prendendo in considerazione il tema dell’aborto, dove una donna chiede di interrompere la gravidanza in quanto il bambino che aspetta non è del marito ma di un altro, prima di scoprire che il marito è in stato terminale e decidere così di fare marcia indietro.

Questo era il grado di libertà fino a prima della caduta del muro. Oggi la situazione è completamente diversa. Da lunedì migliaia di persone stanno sfidando il covid lungo le strade di Varsavia contro quello che anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha definito quasi un divieto totale.

Nel momento in cui la sentenza andrà in vigore infatti, l’aborto sarà consentito solo in caso di stupro, atto illegale o se mette a rischio la vita della madre. Il tutto frutto di una legge del 1993 nella quale era contemplata anche la malformazione del feto, adesso messa in discussione. Un aspetto non di poco conto, in quanto la maggioranza degli aborti in Polonia avviene per questo motivo

In questo modo, inevitabilmente, la possibilità di abortire è diventata totalmente aleatoria. La possibilità di interrompere la gravidanza infatti è legata o alla salute della madre oppure in caso di stupro o atto illegale come abbiamo detto, il tutto legato alle peculiarità del caso e a quello che c’è dietro la denuncia di una violenza.

E il governo polacco non sta facendo altro che gettare benzina sul fuoco. Il presidente Andrzej Duda è in isolamento a causa del coronavirus e il premier Mateusz Morawiecki nel condannare i cortei ha chiesto l’aiuto dell’esercito per rispondere “ad atti di barbarie, vandalismo e alle aggressioni”. Neanche durante le proteste per la transizione alla democrazia dal regime comunista Mosca inviò l’esercito a sedare le manifestazioni.

Molti si staranno indignando per la situazione nel paese centro-europeo, ma in Italia la situazione non è delle migliori.

Tralasciando la mancanza di una seria educazione sessuale per giovani e adolescenti, siamo tra i paesi con più obiettori di coscienza riguardo la legge 194. Gli obiettori tra gli anestesisti sono al 46,3%, ma è tra il personale medico che sale la percentuale: il 69% dei ginecologi è contrario l’aborto. E la maggioranza degli obiettori è concentrata tra Basilicata, Sicilia, Abruzzo e sul podio sale il Molise.

Solo un ginecologo sul totale dei professionisti (27 in tutta la regione) è propenso all’interruzione di gravidanza. Si tratta del Dott. Michele Mariano, che abbiamo intervistato qualche mese fa e che ha posto l’accento anche su un’altra questione molto delicata, ossia la pillola RU-486 le cui linee guida sono state riformate nel mese di agosto.

Insomma, tutto sommato in Italia purtroppo non siamo così diversi dalla Polonia, con la sola differenza che nel centro dell’Europa si sta svolgendo una battaglia contro un divieto, mentre in Italia il diritto sulla carta esiste ma non viene garantito.