di Alessandro Matticola

 

Alzi la mano chi è riuscito a rimanere indifferente di fronte alle lacrime di Camilla Cannoni, la ragazza genovese omosessuale che ha denunciato disperata le violenze che è costretta a subire ogni giorno. Scendere di casa e ritrovarsi la macchina fatta a pezzi, essere appellata nei modi più dispregiativi e in tutto questo pagare un mutuo, tenersi tutto dentro e andare a lavorare, sapendo che quando si uscirà dal luogo di lavoro ricomincia tutto, ammesso e non concesso che mentre si lavori non succede nulla.

Questo succede a Genova così come in tutta Italia e non solo. E Camilla, alla fine della sua denuncia, chiede semplicemente cosa devo fare per avere un minimo di rispetto e non vedere calpestati i diritti lgbt?

Un minimo passo avanti – perché questa legge, oramai in discussione da due anni, avanza a “passo di gallina” – è stato fatto nella giornata di mercoledì.

La Camera dei Deputati ha approvato il primo dei 10 articoli della legge Zan contro l’Omotransfobia, che interviene sulla legge Mancino, inserendo tra i reati punibili con la reclusione, oltre a quelli fondati sulla razza, anche quelli “fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”, quest’ultima motivazione inserita con un emendamento della maggioranza.

249 i voti favorevoli, quelli della maggioranza di governo. 181 i contrari, quelli del centrodestra, probabilmente più per dovere politico che per dovere morale.

Ma non sono mancate le polemiche. È stato detto che i problemi del paese sono altri in questo momento, altro che parlare di “froci, ricchioni, handicappati e mongoloidi”, perché poi nella vita di tutti i giorni è questo il messaggio che passa. Il tutto a colpi di rinvii della discussione del testo. C’è la gente che sta morendo di nuovo, il governo che mette alla porta migliaia di ristoratori che probabilmente non riapriranno a novembre. Non ci si può stare a preoccupare di chi viene continuamente additato ed offeso perché non è eterosessuale.

Troppo “di parte”, troppo “contro natura”. Non si può discutere di tali argomenti, anche a distanza di due anni dalla presentazione del testo per la sua discussione. Il Parlamento è un teatro adatto a ben altri tipi di spettacoli. Come la seconda replica di quello andato in scena nella giornata di ieri, dove il deputato Vittorio Sgarbi rifiutandosi di indossare correttamente la mascherina durante il suo intervento ha dato del fascista al Presidente della Camera Roberto Fico, per poi essere portato di nuovo di peso fuori dall’aula come accaduto nel mese di giugno.

Un episodio isolato, sicuramente. Eppure cambiano i governi ma la politica non riesce ad avanzare nel campo dei diritti civili, prova ne è che una legge su un argomento del quale non si parlava da 14 anni nelle stanze dei bottoni, è rimasta ferma alla porta per due anni prima che iniziasse l’iter di approvazione.

La prima pietra finalmente è stata posata: da oggi, chiamare “frocio”, “ricchione”, “handicappato” o “mongoloide” una persona, è un reato.