di Alessandro Matticola

 

Se si parla di cinema, trovare un film che parli di Halloween o che possa essere preso in considerazione per la commemorazione dei defunti o della festa di Ogni Santi è una barzelletta.

E altrettanto facile è trovare dei riferimenti musicali. Forse che non trattano proprio l’argomento, ma che si addicono a pennello alla tre giorni dal 31 ottobre al 2 novembre è facile.

Ma spostandosi sulla letteratura è un compito abbastanza arduo. Fino a quando non ti ricapita sotto mano uno dei libri di poesia più importanti che siano stati scritti nel XX secolo. E tutto sommato, c’entra anche qualcosa con la musica.

Anzi, partiamo proprio da li. Da un album del grande Fabrizio De Andrè, il quinto per l’esattezza, pubblicato nel 1971 dal titolo “Non al denaro, non all’amore, né al cielo”, poi reinterpretato qualche anno fa da Morgan.

Gli amanti del cantautore genovese avranno già capito di cosa sto parlando. Ma i testi scritti dal poeta americano Edgar Lee Masters tra il 1914 e il 1915, pubblicati sul Mirror e poi racconti in un’antologia, hanno un sapore completamente diverso.

L’Antologia di Spoon River è un’opera mai vista prima. Non ci sono fronzoli nei personaggi raccontati da Masters. Ironici, vendicativi, a tratti irriverenti come la bambina di cui parla De Andrè, veri, reali. Epitaffi in realtà, più che poesie, raccolti probabilmente pensando all’Antologia Palatina ritrovata a Bisanzio nel X secolo.

Spoon River non esiste. Non esiste come borgo. Spoon River come suggerisce il nome è un fiume, quello che scorre nei pressi di Lewistown, città natale di Masters, dove sono vissuti realmente i personaggi a cui si ispira nell’Antologia, pur non conoscendone le vicende. Il giudice, il medico, l’ottico, il cardiopatico, il perdigiorno, la prostituta. C’è chi è morta di parto, chi in guerra, chi sul lavoro.

Tutti, tutti, dormono sulla collina.

Uno trapassò in una febbre,

uno fu arso in miniera,

uno fu ucciso in rissa,

uno morì in prigione,

uno cadde da un ponte lavorando per i suoi cari

tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina

Dove sono Ella, Kate, Mag, Edith e Lizzie,

la tenera, la semplice, la vociona, l’orgogliosa, la felice?

Tutte, tutte, dormono sulla collina.

Una morì di un parto illecito,

una di amore contrastato,

una sotto le mani di un bruto in un bordello,

una di orgoglio spezzato, mentre anelava al suo ideale,

una inseguendo la vita, lontano, in Londra e Parigi,

ma fu riportata nel piccolo spazio con Ella, con Kate, con Mag

tutte, tutte dormono, dormono, dormono sulla collina

Edgar Lee Masters parla di personaggi che non ci sono più, che incontra passeggiando in un cimitero di collina dove dormono. 248 nell’edizione finale dell’antologia, pubblicata in Italia nel 1945 solo in parte. Vi è un poema satirico finale chiamato “The Spooniad” che non è mai stato tradotto in italiano. Il compito della traduzione, all’indomani della fine della guerra e della caduta del fascismo, toccò a Fernanda Pivano su invito di Cesare Pavese.

Spoon River racconta ogni aspetto della vita dell’uomo. C’è ogni sorta di personaggio che viene raccontato nell’antologia. Sono veri, perché essendo morti non hanno più nulla da perdere. Possono confessare tutto, parlare liberamente, levarsi i peli dalla lingua.

Ve ne raccontiamo alcuni, quelli più famosi cantati anche da De Andrè.

Frank Drummer, meglio noto come il matto. Rinchiuso in manicomio perché non riusciva ad esprimersi. O più semplicemente, considerato matto perché quello che ognuno prova dentro di sé non si può esprimere a parole.

Selah Lively, il giudice nano. Deriso da chiunque per la sua statura, poi temuto per il ruolo che va a ricoprire. Fino a quando il suo desiderio di vendetta va a scontrarsi con la giustizia divina. Ma il messaggio va più nel profondo: non solo la vendetta, ma anche il karma.

Il tema della religione viene affrontato anche nella vicenda di Wendell P. Bloyd, il blasfemo arrestato e giustiziato per aver espresso il proprio pensiero. Tanto che da morto non ce l’ha più con Dio, ma con gli uomini che si erigono al suo pari.

Se Drummer era pazzo per non saper esprimere le sue emozioni, Francis Turner paga l’emozione di provare l’amore con la vita. Il suo cuore non regge al primo bacio, tanto è il pathos che prova in quel momento. Il prezzo che paga per aver vissuto almeno una volta, lui che a causa del suo cuore debole e ballerino non ha potuto vivere appieno come chiunque altro.

C’è poi la vicenda di Siegfried Iseman, il medico dei poveri caduto in povertà anch’egli per non essersi fatto mai pagare. Ma qui il rovescio della medaglia: costretto a vendere pozioni magiche, viene messo in prigione per aver truffato la gente. Iseman non muore come il medico dei poveri, muore come un imbroglione.

Drummer non riesce ad esprimere i propri sentimenti, Turner muore per aver provato l’amore, il farmacista Trainor si rifugia dall’amore. Comprende i legami chimici, sa preparare ogni tipo di medicinale, ma non accetta l’amore perché non comprende come questo sia possibile, come possa unire due persone.

I sentimenti e le emozioni sono anche alla base della vicenda dell’ottico Dippold, il cui desiderio sarebbe quello di far vedere ai propri clienti quello che li circonda e non solo recuperare la vista.

Il suonatore Jones, un altro povero di Spoon River. Lui che muore felice avendo vissuto solo suonando ai bordi delle strade, senza aver mai guadagnato il becco di un quattrino, ma libero di aver fatto ciò che ha sempre voluto.

Leggere l’Antologia di Spoon River vuol dire guardarsi allo specchio, ritrovare i lati più nascosti dell’animo umano e svelarli senza tabù. Ma allo stesso tempo, farli rimanere segreti come una confessione. La poesia ha sempre avuto questo effetto. Al contrario della prosa, ti svela, ti mette a nudo, ti attraversa e ti scuote, poi torni te stesso ma ti resta qualcosa dentro, laddove la prosa ti obbliga a cambiare e vivere quello che ti ha lasciato.