di Alessandro Matticola

Negli anni ’80 e ’90 c’erano le Boy Bands. Take That, Duran Duran, Nsync, Backstreet Boys e tra gli esempi femminili le mitiche Spice Girls.

Poi fino al 2010 o eri Hip-Hop o eri rocker. Le boyband erano quasi del tutto sparite e comunque, o usavi la voce o la chitarra elettrica. Tutto rigorosamente Made in Usa or Uk, qualche volta in Italy. Questo prima dell’avvento della trap.

Ora c’è un fenomeno del tutto inaspettato, figlio di internet che porta anche questo genere di mode (per fortuna!)

Si sono svolti qualche giorno fa gli MTV Music Awards e la band dell’anno viene da Seoul. Esatto, dall’altra parte del mondo, dalla Corea del Nord. L’altra, non quella di Kim Jong-Un.

Si tratta dei BTS, acronimo di Bangtan Boys, band composta da ben 7 ragazzi vicini ai 30 anni, nata nel 2013. Vi starete chiedendo chi siano i fortunati vincitori del prestigioso premio musicale, eppure li conoscete. Avete presente il jingle della pubblicità dello smartphone colorato Samsung? Esatto, sono loro e stanno letteralmente spopolando tra i teenager e nelle classifiche dei servizi di streaming musicale.

Ma non sono i soli. Le dirette rivali sono le Blackpink, nate nel 2016. 4 ragazze tutto pepe di 25 anni, anche loro di Seoul, che hanno raggiunto il miliardo di visualizzazioni su YouTube. E se vi state chiedendo da dove siano saltate fuori, sappiate che stiamo parlando di quello che è stato definito “il più grande gruppo femminile del mondo”, le regine del K-Pop. Tanto da meritarsi anche un documentario su Netflix, “Light Up The Sky”.

E ancora gli Exo, gli Ateez. Le altre band al femminile come le Twice e le Dreamcatcher, oppure i gruppi misti come i Kard, alla “Ricchi e Poveri” per capirci. Ce n’è per tutti i gusti, dai più duri ai più romantici, a quelli più provocanti.

E incredibile ma vero, c’è anche un pezzo di Italia.

31 anni. 10 anni fa si trasferisce in Corea da Vimercate in provincia di Monza. Si impegna per diventare artista, vive con altri ragazzi in un ambiente unico dove studia ballo. E piano piano diventa youtuber, si fa strada fino a diventare anche lui un’icona del K-Pop. Tutta la storia è stata raccontata in un libro in uscita per De Agostini, intitolato “Tutta Colpa Del K-Pop”. È Marco Ferrara, meglio conosciuto come Seoul Mafia, un nome facile da ricordare e che fa molto Italia all’estero.

Eppure il K-Pop non è un fenomeno nuovo. Anzi, tutt’altro.

Le prime forme di K-Pop addirittura risalgono al 1800, quando alcune canzoni popolari in occidente sono state tradotte in coreano. Il fenomeno si diffuse in tutta l’Asia, ebbe degli echi anche in Cina e in Giappone. Poi la guerra e l’arrivo degli americani, in particolare con il movimento hippie, arrivarono anche gli echi della musica, del cinema e della cultura occidentale degli anni ’50 e ’70, fino ai giorni nostri dove la Corea si è ritagliata un suo spazio proprio nel cinema, in particolare con i film d’azione e nella musica. Il primo gruppo propriamente K-Pop è stato quello degli HOT negli anni ’80. Si è trattato del primo esempio di idolo nella cultura coreana, prima delle Boy Band che stanno spopolando oggi e che, grazie ad internet, sono arrivate anche da noi.

Si contano più di 200 gruppi musicali nati sotto la cultura del K-Pop, tanto da essere diventato oramai uno stile, con tutti i particolari del caso. Si sa che nelle culture asiatiche l’allenamento soprattutto nello sport ha un’importanza strategica: gli atleti sono quasi dei soldati addestrati fin da bambini, strappati alle loro famiglie con un unico obiettivo, il successo. Lo stesso vale per gli idoli del K-Pop. I gruppi sono costruiti ad arte, gli artisti diventano delle icone studiate alla perfezione dalle case discografiche. I video musicali poi fanno il resto, i concerti sono spettacolo puro. L’immagine è tutto.

È un fenomeno di stile oltre che musicale, è una vera e propria cultura che si è diffusa in Corea da circa una decina di anni e che, tramite il web, è arrivata anche in Italia.