di Miriam Iacovantuono

Il dolore, la sofferenza, la rabbia e la ricerca di risposte è tutto quello che c’è dietro ai decessi di covid. E nel racconto di Marika del basso Molise si percepisce tutto questo. Si percepisce la necessità di capire cosa è successo alla propria nonna, morta a 86 anni nel reparto di malattie infettive dell’Ospedale Cardarelli di Campobasso.

Marika racconta a OFF che il giovedì della prima settimana di novembre sua nonna era sola in casa e si era abbassata per raccogliere qualcosa da terra e non è più riuscita ad alzarsi ed è rimasta così per due ore. Per l’accaduto, che però lei non ricordava, i familiari, – avendo lei la carotide ostruita al 60% – hanno pensato che potesse aver avuto un’ischemia. Nei giorni successivi hanno notato che era cambiata, non mangiava più, era impaurita e aveva comportamenti molto strani.

“Non pensavamo che avesse il covid, – ha raccontato Marika – perché i sintomi legati al virus erano altri e lei non li dimostrava. La settimana dopo abbiamo chiamato il 118 perché aveva l’affanno e abbiamo pensato che quell’ischemia solo ipotizzata potesse essere reale e aveva quindi necessità di fare una tac”.

Nella famiglia di Marika, il cugino era risultato positivo e la nonna aveva avuto contatti con la mamma del ragazzo anche se poi non avendo ricostituito la catena dei contagi del ragazzo fino a quel momento non era stata attestata la positività della zia di Marika.

“Abbiamo detto ai sanitari che mia nonna aveva avuto contatti con una possibile positiva. A mia zia non è stato fatto un tampone anche se mio cugino era positivo. I sanitari hanno visto che la saturazione era a 86 e hanno dovuto portarla in ospedale perché c’era sospetto covid”.  La nonna di Marika è stata portata così a Termoli e sottoposta a tampone rapido che è risultato positivo e le è stata riscontrata una polmonite bilaterale.

“Mia nonna è stata una notte e la mattina successiva all’ospedale di Termoli con la maschera Cpap. I dottori hanno sempre detto che la situazione era un po’ complessa perché mia nonna aveva problemi al cuore e – avendo sostituito una valvola – aveva una bronchite cronica e parkinson. Insomma non era una persona sanissima, ma era lucida”.

Il giorno dopo la nonna di Marika è stata portata a Campobasso e ha chiamato la figlia per comunicarle che sarebbe stata trasferita e che un’infermiera avrebbe chiamato per dire cosa era necessario per il ricovero.

“Mia nonna era molto tranquilla. Quando poi è arrivata a Campobasso siamo stati contattati da un medico che ha ribadito la complessità del quadro clinico e ci mostrava solidarietà ma sembrava quasi che volesse prepararci al peggio. Dopo l’arrivo a Campobasso, dopo 24 – 48 ore nessuno ci ha comunicato se il tampone molecolare a cui è stata sottoposta mia nonna fosse negativo o positivo e abbiamo dovuto dare per scontato che fosse positivo”.

Da qui la situazione peggiora. Marika racconta che la notte in cui la nonna è stata trasferita ha chiamato dicendo che lì non “la pensavano”, che non le avevano portato da mangiare, non l’avevano fatta lavare e che nessuno le aveva dato le sue medicine. “Mia nonna – dice Marika – era molto metodica e attenta, quando doveva mangiare si sistemava le medicine tutte davanti e le prendeva. La sua preoccupazione era quella che non prendeva le medicine. Pensavamo che quella reazione era dovuta al fatto che le mancava la famiglia. Noi abbiamo giustificato e continuiamo a giustificare il reparto perché con pochi medici e infermieri non possono stare vicino al letto di tutti e confortarli, abbiamo cercato di confortarla un po’ ma lei diceva queste cose urlando, e senza sentire ragione”. 

La mattina dopo un’altra telefonata in cui la nonna di Marika diceva le stesse cose e chiedeva di chiamare i Carabinieri e che lì l’avrebbero fatta morire. La notte chiama di nuovo chiedendo di andarla prendere e che sarebbe voluta tornare a casa per un paio d’ore, per lavarsi, guardare un po’ di televisione, e poi sarebbe anche tornata in reparto.

È passata un’altra notte. “Sabato pomeriggio un’altra telefonata e sempre a dire che non prendeva le medicine, abbiamo spiegato che forse le mettevano nella flebo, ma in realtà lei ha detto che non aveva nessuna flebo. Alla fine ha chiuso il telefono dicendo ‘va bene'”.

Marika e gli altri nipoti hanno provato a chiamare, ma sua nonna non rispondeva e quindi hanno pensava che stesse riposando. Nel pomeriggio una dottoressa ha detto alla famiglia che la paziente rifiutava la terapia e non voleva tenere la maschera,  che non collaborava e se continuava ad essere quello il comportamento non ci sarebbero stati dei risultati. A questo punto per la famiglia la preoccupazione continuava a salire.

La notte è squillato il telefono ed era il medico che comunicava alla famiglia che la signora non ce l’aveva fatta. La mattina dopo la mamma di Marika ha chiamato in reparto per chiedere cosa fosse successo, se c’era stato un aggravamento o una crisi. “La dottoressa che aveva attaccato il turno – dice Marika – ci ha detto che le infermiere le avevano riferito che mia nonna per la sua mancanza di collaborazione e per togliersi la maschera si è strappata anche i capelli e che non ha voluto collaborare, ma ci è sembrato strano. Mia nonna ha fatto tanti interventi, l’ultimo lo ha fatto a cuore aperto ed è stata definita come paziente modello. Il fatto che rifiutasse di essere curata ci è sembrato un po’ strano. Abbiamo pensato che bombardandosi di televisione e immedesimandosi in quella situazione avesse perso la testa. Diceva sempre che non voleva finire in quel sacco nero e l’idea di non avere un funerale la terrorizzava e abbiamo compreso che forse non voleva essere curata. Ma in realtà – dice Marika – non sappiamo cosa è successo”. Marika racconta che sua nonna era una donna forte, era difficile che si  lamentasse di qualcosa, è sempre stata autonoma  e determinata. E poi l’interrogativo nasce dal confronto con Termoli.  “Dal San Timoteo ha telefonato con molta calma dicendo che la portavano al Cardarelli e solo lì hanno detto che nonna rifiutava la maschera e l’ossigeno. Se rifiutava la cura lo avrebbe fatto anche a Termoli”.

Il racconto di Marika non è un caso isolato. Ci sono altre testimonianze che narrano di pazienti poi deceduti che si lamentavano così come sua nonna. “Non era mia nonna che esagerava. Possibile che tutte queste persone morte che si lamentavano tutte delle stesse cose se lo inventassero? Ci sono troppe cose simili”.

Dietro le parole di Marika c’è rabbia e il voler conoscere la verità e cosa succede nei reparti. “Nessuno dà la colpa ai medici, non credo che si possa essere tanto perfidi da lasciar morire la gente così, il problema è che c’è una mancanza di personale. C’è stato il tempo di potenziare gli ospedali e non si è fatto e poi – commenta Marika – si parla di ospedali da campo quando c’è una struttura bella e pronta”.

Un dolore grande che difficilmente si riesce a colmare soprattutto perché non si hanno risposte. Marika ha rivisto il corpo di sua nonna avvolto in un lenzuolo imbevuto nella candeggina, avvolto nel cellophane e messo in un sacco.

E a questo dolore e a questa sofferenza si uniscono le risposte non date e la mancanza di spiegazioni. È evidente che si è in affanno e anche gli operatori sanitari sono in trincea, ma è arrivato il momento di capire di chi sono le responsabilità.