di Miriam Iacovantuono

Le parole, i versi, i racconti scritti con animo e passione esprimono le sensazioni più profonde dell’animo umano. Portano con sé la gioia e la malinconia, il rammarico ma anche la determinazione. Questo si cela dietro i versi di Giorgio Paglione autore della raccolta di poesie ‘Lo sterno d’Italia’. Con la passione per la scrittura e la poesia, Giorgio ha deciso di raccontare, attraverso i versi, le aree interne e in particolare l’Appennino, incoraggiato anche dalla docente Unimol Letizia Bindi e dal paesologo Franco Arminio che ha scritto la nota in quarta di copertina del libro.

Un titolo, quello dell’opera del giovane scrittore molisano, che mostra l’Appennino già in chiave diversa da quella con cui veniva definito durante le lezioni di geografia a scuola.

“In maniera fin troppo scolastica in geografia le Alpi sono state sempre definite la corona d’Italia e gli Appennini la spina dorsale, una definizione che però sembra dargli un’importanza secondaria. Per me gli Appennini sono lo sterno d’Italia, la parte centrale, il ventre levigato che non ha i pendii aguzzi, è sempre un po’ tondeggiante più aggraziato sia dal punto di vista dello sport – trekking e alpinismo – e sia perchè c’è il sudore di chi vive questi territori, a differenza delle Alpi dove i paesi sono a valle. Noi li viviamo proprio su, siamo così sullo sterno d’Italia e poi sotto lo sterno batte il cuore”.

Una definizione, dunque poetica, poichè il cuore d’Italia sta nell’Appennino e una definizione che vale ancora di più per il Molise che si trova quasi al centro della catena appenninica. Ma è anche una definizione che evidenzia come il nostro territorio e quelli che sono radicati lungo gli Appennini non hanno meno importanza di quelli del Nord del Paese.

“Ma non significa che il nostro sia meglio di altri territori o le aree interne del Molise e dell’Appennino sino meglio di altre, significa essere orgogliosi di essere abitanti dell’Appennino in particolare e delle aree interne. Troppe volte si fa una differenza sbagliata proprio nell’indicare la montagna, perché se si è delle Alpi bisognerebbe essere orgogliosi e se invece si è degli Appennini è come se bisogna vergognarsi perché non c’è niente, i paesi sono piccoli, c’è il pastore che pascola le pecore sotto casa e se per altri è motivo di vergogna, per me invece è vanto”.

Il libro è diviso in due sezioni, una dedicata alle aree interne, a Capracotta – paese natale di Giorgio Paglione – e al mondo dei paesi in cui l’autore ha cercato di tessere l’Appennino non solo come ambiente ma anche come società, come banca di sapere dove vengono conservati gli unici e ultimi saperi antichi, quelli che ci hanno fatto crescere. Poi c’è una sezione un po’ più romantica dove c’è l’aspetto amoroso e altri tipi di discorsi fatti su argomenti diversi. C’è anche qualcosa di ironico e un paio di poesie che il poeta ha chiamato ‘il trasporto per bambini’ che rimandano a quelle filastrocche raccontate dai nonni.

In generale qua e là in ogni verso c’è il Molise anche se non viene citato esplicitamente e si intende che tutto è legato a questa terra che è “croce e delizia“, perché non c’è niente per il giovane che vuole rimanere a mettere le radici, ma nello stesso tempo è la più bella regione perché basta poco per stare bene.

“Anche in un periodo così brutto basta farsi una semplice passeggiata che si incontra qualcuno che una piccola carezza al cuore te la fa sempre”.

C’è la possibilità di vivere l’aria e sentire profumi diversi rispetto a una città o ad altre aree. Giorgio spiega che quello che a volte manca nei racconti che molto spesso si fanno di questo territorio è l’aspetto dei sensi e soprattutto l’olfatto e la vista.

“La luce che abbiamo in Molise è la più bella e non a caso le anime belle molisane si cibano di luce e la luce bella l’abbiamo qua e non in altre parti d’Italia. Poi c’è anche l’aspetto dei profumi, degli odori. Camminando in ogni paese delle aree interne dell’alto e basso Molise riusciamo ancora a sentire i profumi che in altre parti non si sentono e si crea quel contrasto per esempio di una casa chiusa da tanto tempo e il forno vicino”.

Si tratta dunque di unicità su cui si dovrebbe puntare per poter dare il vero valore e riscoprire l’identità che ha questa terra.

“Troppo spesso non guardare a quelle unicità porta a compiere degli errori. Non si guarda a quello che realmente può dare. E’ vero che per vivere c’è bisogno di economia, però dobbiamo trovare il modo di monetizzare alcune cose che abbiamo qui e che sono importanti. Per farlo dobbiamo trovare una quadra giusta e che può venire anche da un dialogo e dalla sinergia per esempio del mondo artistico, politico e altro”.

Il libro di Giorgio, dunque oltre a raccontare una parte d’Italia vuole essere uno stimolo per guardare con occhi diversi anche il nostro territorio, i paesi del Molise e le unicità che questa terra regala ogni giorno.