di Lucrezia Cicchese

E chi se lo dimentica questo 2020. Un anno scandito da paure, sacrifici, distanze e nuova quotidianità. Un anno di riflessione, di analisi interiore, di vita a metà vissuta tra un esserci e non esserci. Un anno che molti vorrebbero cancellare, ma che invece ci concede un’opportunità.

Ebbene il 2020 è l’anno in cui non possiamo permetterci di dimenticare. E come scrivevo tempo fa lo ribadisco. Ancora.

Non voglio dimenticare l’importanza di rispettare le regole e nemmeno chi, ancora oggi, quelle regole le definisce folli. Intanto il non rispetto di alcune di quelle regole ha causato morti e questo non lo dobbiamo cancellare.

Non voglio dimenticare l’informazione contraddittoria, sensazionalistica, emotiva e approssimativa che ha accompagnato questi mesi. L’informazione verificata, chiara è la base di tutto e nessuno lo ha fatto con rigore. Le chiacchiere e le accuse sono inutili. Nessuno è immune all’errore per quanto non si voglia. I fatti parlano, da sempre.

Non voglio dimenticare che quando tutto questo sarà finito dovremmo tenere gli occhi aperti rispetto a chi gestisce gli ospedali. Non cerchiamo tra i politici a Roma i responsabili dei nostri mali. La sanità viene gestita dalla Regione. E i responsabili della malasanità  sono intorno a noi e in mezzo a noi. Da domani, che arriva domani, occhi aperti e nessuna pietà. Tutti, insieme.

Non voglio dimenticare che l’Europa è stata in ritardo, troppo in ritardo, e che persiste a usare “due pesi e due misure”. 

Non voglio dimenticare che l’origine della pandemia risiede nel nostro rapporto con l’ambiente che abbiamo usato e sfruttato fino al collasso.

Non voglio dimenticare che la pandemia ci ha trovato impreparati sul welfare e che i soggetti deboli lo sono ancor più.

Non voglio dimenticare l’egoismo di chi in un momento di difficoltà ha curato ancora una volta solo i propri interessi.

Non voglio dimenticare che a quasi quaranta anni abbiamo – si dico a noi degli anni ’80 – un obbligo morale a cui non possiamo più sottrarci. Ora.