di Alessandro Matticola

Anno 1976. La società sta cambiando. Cambiano gli stili, la musica, la moda.

Cadono i tabù, alcuni argomenti iniziano ad essere di “dominio pubblico”, se ne inizia a parlare senza particolari problemi.

Tra tutti, la sessualità. Come un bambino che si vede nudo allo specchio per la prima volta, negli anni ’70 l’Italia inizia a scoprire senza tabù l’aspetto fisico dell’amore, chiesa cattolica compresa. Ne parla senza troppi fronzoli, diciamolo pure, a momenti esagerando come avviene per ogni nuova moda che esplode sulla scena.

La corporeità non esplode solo nelle riviste, ma anche nel cinema. Spuntano da ogni dove le commedie sexy di Lino Banfi, i film a luci rosse più o meno hard e con loro le sale cinematografiche dedicate (a Campobasso i luoghi in questione, se non erro, erano il Cinema Modernissimo ed il Cinema Odeon ubicato nella sede dell’Ex GIL).

Uno degli attori più importanti del cinema italiano, se non il più importante in assoluto dopo Totò, quello che ha incarnato ogni aspetto dell’italiano medio e più alto locato, dai più mondani a quelli più nascosti, dedicò a questo cambiamento un intero film composto da quattro episodi, come andava di moda allora.

Per chi non lo avesse capito, stiamo parlando dell’immortale Alberto Sordi, di cui nel particolare anno appena trascorso è ricorso il centenario dalla nascita.

Nel 1976 appunto, Sordi gira un film interpretato oltre che da lui stesso anche da attori come Philippe Noiret, Claudia Cardinale e Cochi Pozzoni, intitolato “Il Comune Senso Del Pudore”.

In quattro episodi, Sordi col suo genio creativo mette a nudo tutti quegli aspetti della sessualità che fino ad allora erano rimasti “segreti” e che, per effetto dei tempi che cambiano, il Bel Paese si è ritrovato a vivere quasi all’improvviso. Così c’è la coppia che decide di festeggiare le nozze d’argento andando al cinema, trovando però solo film erotici e il regista che di film hard che deve convincere un’attrice a girare una scena. C’è poi il direttore di una rivista per adulti, arrestato per oltraggio al pudore per l’appunto e chi invece grazie a riviste del genere rinvigorisce il rapporto di coppia.

Questo era allora il pudore che oramai gli italiani avevano perso. Il sesso non era più un tabù e così dopo omicidi e delitti efferati narrati anche in tanta cinematografia di qualità del periodo, cade anche il muro dell’amore fisico nel focolare di casa.

Questi erano gli anni ’70. E oggi come sarebbe il comune senso del pudore? Su quali aspetti Alberto Sordi potrebbe porre l’accento nel girare un film del genere? Proviamo a pensarci insieme.

Un episodio sarebbe sicuramente dedicato alla sessualità, a come sia cambiata la sua concezione, a come sia diventata di dominio pubblico – anche troppo – e alla tanta disinformazione sul sesso, in particolare tra i più giovani che ne fanno “un uso a volte smoderato”, non rendendosene conto. Parliamoci chiaramente: chi è quel matto che si sogna di andare a fare educazione sessuale nelle scuole in maniera seria, non soltanto facendo vedere cosa sia un profilattico o una spirale? In 45 anni non è mai stato fatto nulla del genere, non seriamente. Un tabù che ci portiamo ancora dentro.

Ma il senso del pudore non riguarda più solo la sfera fisica.

Un altro episodio sarebbe dedicato sicuramente all’invidia, alla voglia di apparire e di mettersi in mostra, al non sapersi mai accontentare e di riflesso, ad odiare chi ha più di noi ed avere pena o ignorare chi ha di meno, almeno fino a quando non arriva al nostro stesso livello o peggio se lo supera.

E di conseguenza, un episodio poi sarebbe dedicato alla meschinità e alla falsità, alla cattiveria che le persone hanno sviluppato nei confronti del loro prossimo. Le si odiano perché hanno di più e quando poi si esagera si riesce ad andare anche oltre. Con la violenza fisica, con quella verbale e soprattutto con il comportamento che si tende ad avere nei confronti di chi non si sopporta: le persone non si ignorano più, c’è la volontà di distruggerle.

E un ultimo episodio potrebbe essere dedicato alla curiosità e alla voglia di sapere e di conoscere che, da diritto sacrosanto, sta diventando sempre più un voler ficcare il naso ovunque, un voler sapere a tutti i costi anche ciò che non ci riguarda, un voler entrare nella vita delle persone ad ogni costo tramite i social, lo smartphone, gli appostamenti e lo stalking per i più perversi, perché purtroppo voler sapere sta facendo sempre più rima con perversione.

Il ritratto del senso del pudore che si potrebbe fare così non riguarda più solo la sessualità. È l’immagine di una società che nel primo decennio degli anni duemila è diventata sempre più spudorata ed esagerata sotto ogni aspetto.

Un bagaglio culturale non indifferente quello che ci siamo portati dietro dal decennio appena trascorso. Di cosa parlerà il comune senso del pudore tra altri dieci anni?