di Gaudiano Di Spinta
Una comunicazione molto più “easy”, caccia agli spunti divertenti, botta e risposta con colleghi di altre squadre, nuovi acquisti trasformati, magari, in Ninja e video che ben presto diventano virali. Risultato? Milioni di clic, visualizzazioni, condivisioni che fanno crescere il brand o intrettengono semplicemente i tifosi costruendo con loro un legame ancora più intenso, diretto, familiare, anche a costo di buttare giù barriere e rendere il tutto meno tradizionale e, da un certo punto di vista, anche più rischioso.
Dovrebbe essere questa la vision di un club importante di serie D come il Campobasso che aspira al salto di categoria in Lega Pro. Una società, insomma, che attraverso il proprio social media manager dovrebbe creare contenuti digitali e di interagire con il pubblico, cercando di potenziare l’immagine del proprio club e del proprio brand e sviluppando nel contempo strategie aziendali di comunicazione e di marketing (quindi con annessa generazione di profitti). Un mezzo potentissimo considerando l’importanza che i social rivestono nella vita di tutti i giorni di miliardi di persone, ma che rappresenta anche un rischio, perché un errore o un messaggio sbagliato, frainteso o fraintendibile è in grado di innescare reazioni e situazioni negative.
Tuttavia, è innegabile che i risultati sportivi siano strettamente legati al sentimento e all’umore generale che i tifosi esprimono sui social network. Ma è altrettanto vero che i risultati sportivi spesso condizionino i programmi di comunicazione di un club. Ma questo non deve essere il caso del Campobasso: i piani della società vanno portati avanti anche dopo sconfitte o in momenti negativi se si vogliono raggiungere davvero traguardi ambiziosi.