di Antonio Di Monaco

In Molise la campagna vaccinale contro il Covid sembra procedere sotto una cattiva stella. Si va dai ritardi dell’inizio della campagna a quelli per la consegna delle nuove dosi. Per la prima fase ne erano previste 9.294 (che dovranno servire per la doppia somministrazione), ma al momento ne sono state consegnate 4925. Il Molise, seppur in lieve ritardo rispetto alle altre regioni, ha già utilizzato oltre il 65% delle dosi pervenute, rispetto ad una media nazionale del 70%. Domenica scorsa, 10 gennaio, è toccato agli operatori e agli ospiti della comunità alloggio Arcobaleno di San Giuliano di Puglia dove sono state somministrate 18 dosi; 48 invece a Villa Esther a Bojano, 48 nella casa di cura Villa Maria di Campobasso, 60 nella casa di riposo Hotel Sporting Villa delle rose, 54 nella casa di riposo Villa Immacolata e 41 nell’istituto Sacro Cuore. La somministrazione delle prime dosi potrebbe terminare già intorno al 15 gennaio e dovrebbe partire quella delle restanti.

A questo punto, s’impone una domanda: i medici di famiglia, di guardia ed i pediatri di libera scelta quando verranno vaccinati? Da piano operativo dovrebbero essere tra gli ultimi, ma è giusto che sia così? Forse no perché, di fatto, sono loro che continuano ad avere rapporti quotidiani con tutta la popolazione e, soprattutto, sono loro che annoverano più vittime per Covid a livello nazionale su un totale di 285 medici deceduti. Sarà necessario ancora un grande sforzo organizzativo, logistico e di personale e bisognerà farsi trovare pronti e possibilmente immuni.

Intanto, l’Ordine dei medici di Campobasso è intervenuto sulla realizzazione dell’ala Covid all’ospedale Cardarelli di Campobasso, auspicando che “possano essere rimossi in tempi rapidissimi gli ostacoli che hanno impedito finora la realizzazione”. In una nota si evidenzia che questa rappresenta “l’unica soluzione per efficienza dei servizi, adeguate risposte di salute e sicurezza di operatori e utenti, attualmente non garantiti nonostante le miriadi di percorsi differenziati e protocolli che spesso rendono ancor più difficile il lavoro in ambito ospedaliero”.