di Lucrezia Cicchese

La pandemia è piombata nelle nostre vite in modo devastante, ma è proprio questo che dovrebbe darci l’occasione di gettare nuove basi per (ri)costruire. Tra i punti di (ri)partenza c’è la scuola.

Cosa serve la scuola?

A fornire sapere? Trovare lavoro? A concedere a tutti le medesime opportunità per un futuro non alle dipendenze economiche della propria famiglia? Come viene vista e programmata l’educazione dalla classe dirigente del Paese?

C’è un momento, da bambini, in cui si ha una voglia smisurata di sapere. E c’è un momento da adulti, invece, in cui il percorso fatto viene messo in un dimenticatoio della mente e non considerato più importante.

La pandemia ha dato la possibilità ai giovani di sapere quanta vita si gioca a scuola. Si, oggi i più giovani hanno contezza che l’Italia va cambiata. Che nel 2021 è intollerabile ci siano ancora case, o meglio interi paesi, in cui non vi è connessione. Che ci si arrenda all’ineluttabile destino del precariato abbandonando il proprio percorso formativo. Una Dad da capire e potenziare e che non funziona perché impreparati sia dal punto di vista tecnologico che del corpo docente. E ancora la violenza che si consuma all’interno delle mura domestiche, la depressione e la demotivazione sono spesso, poi, difficili da accettare a 14 anni.

Particolare attenzione infatti meritano le ripercussioni emotive sui giovani. In un articolo apparso su La Repubblica Stefano Vicari, primario dell’unità operativa complessa di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del nosocomio pediatrico romano, ha dichiarato che “sono aumentati i disturbi mentali sia nei ragazzi che nei bambini: irritabilità, ansia, sonno disturbato”.

“Da ottobre ad oggi, quindi dopo la prima ondata Covid, abbiamo registrato un aumento dei ricoveri del 30% circa. Fino ad ottobre avevamo il 70% dei posti letto occupati (8 in tutto), oggi il 100%. Nel 2011 abbiamo avuto 12 ricoveri per attività autolesionistica, a scopo suicidario e non, mentre nel 2020 oltre 300, quindi quasi uno al giorno”, aggiunge.

Poi continua: “Tutto questo è assolutamente associato al periodo di chiusura, gli adolescenti vivono con grande preoccupazione questo periodo e quindi c’è una ripercussione sui loro vissuti particolarmente importante. Mi comincio a chiedere quando tutta questa emergenza sarà finita quello che dovremo gestire. Sarà un’onda lunga”.

Non è più consentito chiudere gli occhi.

La scuola è quel luogo sicuro in cui si sceglie un destino, anziché subirlo. È una priorità perché concede di avere davanti agli occhi un orizzonte, un futuro fatto di dignità. È una priorità perché salva letteralmente la vita.

Ma qualcuno ha mai pensato di chiedere ai ragazzi cosa ne pensano? Come si sentono? Le Istituzioni nazionali e locali hanno mai provato a parlare con loro? Conoscono i problemi e le priorità?

A un anno, quasi, dalla pandemia meritano ascolto. E noi adulti dovremmo iniziare a capire dove e cosa vogliamo fare per cambiare e non perdere la scommessa col futuro.