di Antonio Di Monaco

A quasi 20 anno dal suo completamento, la diga di Arcichiaro è un’opera tuttora incompiuta, con l’auspicio che non diventi un’opera perduta. Eppure, nel dossier di Legambiente, pubblicato il 1° agosto 2019, l’invaso “sia per la produzione di energia rinnovabile, sia per la possibilità di riserva idrica disponibile e prontamente utilizzabile a
fini civili, industriali e agricoli, è da considerare perfettamente in linea con quanto previsto dalla Strategia Nazionale delle Aree Interne”. Inoltre, la diga “è collocata ad una quota di circa 900 metri sul livello del mare e – si legge ancora nel dossier – non essendoci, oltre tale quota, insediamenti umani di una qualche importanza, la risorsa idrica trattenuta è da considerare potenzialmente priva di particolari forme d’inquinamento”.

Le ipotesi di utilizzo della diga, dunque, non mancano: a fini idroelettrici; l’alimentazione a gravità del nucleo industriale per soddisfare i fabbisogni e ridurre i costi energetici sostenuti per l’utilizzazione delle risorse sotterranee; il
rilascio in alveo. Inoltre, l’elevata quota di sbarramento della diga è altresì da considerare funzionale ad un utilizzo plurimo della risorsa. Data, infatti, la differenza di quota tra la posizione dell’invaso e la sottostante piana di Bojano, è stata ipotizzata – come si legge nella relazione di inizio mandato 2016-2021 dell’amministrazione comunale guidata dal sindaco, Fabio Iuliano – l’installazione di una centrale idroelettrica
di una potenza di circa 4,5 MW, capace di fornire una quantità di energia intorno a 6 GW/ora.

Ma questo tipo di utilizzo “stride – si nota nel dossier di Legambiente – con le politiche recentemente messe in campo dall’ente regionale, per la valorizzazione del bene Acqua del Molise – Qualità del Matese, che hanno portato all’emanazione di un regolamento ad hoc per l’utilizzo di
un marchio collettivo. Ad un’attenta analisi, non sfuggiranno clamorose contraddizioni: dal riferimento ad un Parco ‘Naturale’ del Matese, non meglio definito, alla presenza di una (senz’altro importante) azienda locale, di cui non è noto il contributo fornito alla causa, alla scarsa pubblicizzazione del regolamento”. Ed ecco che, di contraddizione in contraddizione, passare da un’opera incompiuta ad un’opera perduta, il passo è breve.