di Antonio Di Monaco

“Ave, Caesar, morituri te salutant” (“Ave, Cesare, quelli che stanno per morire ti salutano”) è, per tradizione, considerata la frase latina che i gladiatori indirizzavano all’imperatore prima dell’inizio dei giochi gladiatori. In Molise purtroppo i “giochi”, ossia la pandemia, si sono già iniziati da quasi un anno mietendo centinaia di vittime e, diversi altri cittadini, proprio per la saturazione degli ospedali a causa della nuova impennata dei contagi, non hanno potuto ricevere le cure necessarie per le altre patologie croniche. Questo perché il Molise è l’unica regione italiana in cui manca un Dea (Dipartimento di Emergenza e Accettazione) di II livello che assicura anche le funzioni di più alta qualificazione legate all’emergenza, tra cui la cardiochirurgia, la neurochirurgia, la terapia intensiva neonatale, la chirurgia vascolare e la chirurgia toracica.

In principio fu il decreto Balduzzi, il numero 158/2012, convertito in legge (189/2012) a novembre dello stesso anno, in cui è stato previsto l’aggiornamento dei Lea (Livelli Essenziali di Assistenza) e diventato operativo con il nuovo Regolamento per gli Standard Ospedalieri (decreto ministeriale n° 70/2015) in cui si prevede la possibilità di istituire un Dea di II livello con un bacino di utenza compreso tra 600mila a 1,2 milioni di abitanti. Un parametro che, com’è facile intuire, taglia fuori il Molise che può contare sull’ospedale Cardarelli di Campobasso come Dea regionale di I livello.

Il 23 aprile 2015, il presidente della Regione, Paolo Di Laura Frattura, intervenne all’audizione in Commissione Igiene e sanità del Senato nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla sostenibilità del Ssn, facendo riferimento agli attuali parametri che non rendono possibile un Dea di II livello. Pochi giorni dopo, la Regione chiese al governo una deroga al decreto Balduzzi per il Molise, ma senza esito. Anzi, nel 2017 il premier Gentiloni, quando propose il vigente Piano Operativo Sanitario del Molise con un emendamento su cui alle Camere pose la fiducia per non farlo modificare, stabilì che questo spettava alla Regione e, per le patologie tempo-dipendenti, ci si poteva convenzionare con le strutture accreditate.

L’attuale governatore, Donato Toma, nel suo programma elettorale, manifestò l’obiettivo di conservare gli attuali quattro poli ospedalieri, istituire un polo clinico universitario a Campobasso e di richiedere un ospedale Dea di II livello per Regione a prescindere dal numero di abitanti. Ma finora tutto si è risolto in un nulla di fatto, così come la richiesta di un decreto legge simile a quello approntato per la Calabria per superare i conflitti di competenza tra un Generale della Finanza che, dal 2018 da Commissario ad Acta, gestisce la sanità molisana con il presidente della Regione rimesso in gioco come autorità di Protezione Civile.

Con il risultato che, ad oggi, il tasso di mortalità è altissimo e i tracciamenti languono. Nel principale ospedale regionale non c’è in pianta organica nemmeno un pneumologo, mancano i macchinari per sequenziare le varianti e le strutture ospedaliere affrontano la pandemia praticamente a mani nude. Eppure, già qualche settimana fa il Covid era arrivato all’ospedale di Termoli, tanto da determinarne la chiusura con trasferimenti dei ricoverati e messa in sicurezza dei reparti. Tutto questo, con diverse sfumature, si è iniziato a vedere dal commissariamento dello Stato del 2009 con tagli di posti letto, blocchi di assunzione, assenza di investimenti minimi e chiusura di ospedali. Con buona pace del rispetto dell’articolo 32 della Costituzione, della legge numero 833 del 1978 e delle disposizioni che obbligano lo Stato Italiano a garantire i Livelli Essenziali di Assistenza in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.