di Antonio Di Monaco

È da oltre 20 anni che medici, pazienti e visitatori sono consapevoli di camminare su una polveriera frequentando l’ospedale Cardarelli di Campobasso. È del 1999 infatti il primo studio sulla vulnerabilità sismica della struttura, in concomitanza con la costruzione del secondo lotto, portato avanti dal professore Michele Mele che insegna Tecnica delle costruzioni all’Università “La Sapienza” di Roma da cui emergono le prime criticità.

Le stesse trovano conferma nel 2009 con l’inserimento del Cardarelli tra gli ospedali italiani a rischio crollo in base alla verifica sulla resistenza ad eventuali scosse sismiche: oltre il 90% degli elementi strutturali dell’edificio non resisterebbero ad un terremoto di media magnitudo. Nel 2014, una nuova indagine condotta dall’ingegnere Giuseppe Fabbrocino, nonché docente all’Università del Molise, il quale suggerisce all’Asrem di “affrontare tempestivamente” la situazione.

Ma nulla di tutto questo accade, anche perché il presidente della Regione e commissario ad acta per la sanità, Paolo di Laura Frattura, giudica troppo altra la spesa di 60 milioni per l’adeguamento sismico. Da qui, si inizia a profilare l’ipotesi di trasferire il Cardarelli all’interno degli spazi non occupati dalla Fondazione Giovanni Paolo II, edificio più nuovo e sicuro dal punto di vista sismico. Tuttavia le criticità accertate dai vari studi vengono tenute scrupolosamente nascoste. L’unico fatto noto è l’affidamento, da parte dell’Asrem, di un incarico ad un professionista per completare le indagini sulla vulnerabilità del presidio di contrada Tappino.

Nel febbraio del 2020, proprio alla vigilia dello scoppio della pandemia da Covid, i Vigili del Fuoco incaricati degli accertamenti dalla Procura della Repubblica di Campobasso, per bocca dell’ingegnere che si occupa del caso, sanciscono che “se ci fossero stati dei rischi, l’ospedale Cardarelli non sarebbe rimasto aperto”. L’edificio “è compatibile – aggiungono – con la tipologia costruttiva dell’epoca che era profondamente diversa da quella attuale”. Il riferimento è agli anni ’60, considerando che le nuove norme costruttive antisismiche sono state introdotte dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980 e soprattutto dopo quelli di San Giuliano di Puglia (2002) e dell’Aquila (2009). Ma ciò che resta ineludibile, a detta dei tecnici, è la necessità di eseguire dei lavori urgenti per adeguare l’ospedale alla normativa antisismica e dal punto di vista dell’antincendio. Nell’attesa, ogni tanto dalle pareti si staccano pezzi di cemento e tegole dal tetto con i ferri che fuoriescono dal cemento usurato. E non è certo un bello spettacolo da vedere.