di Miriam Iacovantuono

Il racconto intenso di un territorio che da troppo tempo è stato lasciato in balìa dello spopolamento e dell’abbandono è quello che fa Rossano Pazzagli, docente di Storia del territorio e dell’ambiente all’Università del Molise, nel suo ultimo libro ‘Un paese di paesi – luoghi e voci dell’Italia interna’.

Pazzagli, che da tempo si occupa di aree interne e non solo dal punto di vista storica, ma anche andando sui territori a vedere cosa succede realmente, ha voluto ridare voce a una Italia che l’aveva perduta. Partendo dalla domanda: cosa è rimasto lassù, in quei paesi collinari e montani? E ha cercato delle risposte.

“E lassù sono rimaste molte cose da cui si potrebbe ripartire non solo per ridare vita a questi luoghi, ma anche per rispondere alla crisi della nostra società, alla crisi del presente che è una crisi economica, sociale, culturale e che alla fine come sappiamo anche sanitaria. E’ stato un po’ questo, chiedermi cosa è rimasto e cercare delle possibili linee di rinascita”.

Nel volume quindi possiamo individuare quelli che sono gli input da cui partire per creare delle opportunità per questi territori. Rimettere al centro della scena queste zone che colpevolmente sono state trascurate e dimenticate.

“E’ necessario riportare i margini al centro. A lungo abbiamo progressivamente marginalizzato queste realtà – paesi e loro campagne – oggi è il tempo di invertire la rotta e di riportare queste aree marginali al centro dell’attenzione, della considerazione, della dignità sociale e culturale, non solo economica. Invertire lo sguardo, guardare all’Italia non più da Roma, da Milano o da Napoli, ma da Casacalenda o da Pietrabbondante”.

Ma per riportare al centro questi territori ci sono anche esperienze che dimostrano delle soluzioni possibili.

“Ho trovato situazioni di paesi nei quali sono già in atto processi di rinascita da molto tempo e altri dove invece esistono delle potenzialità che potrebbero essere messe in frutto. Un esempio molto noto che riprendo nel libro è quello di Castel del Giudice, un comune montano tra Abruzzo e Molise che da circa 20 anni ha intrapreso dei processi di rigenerazione locale, di riuso e di rimessa in valore di edifici, di strutture, di terreni che oggi consentono di offrire opportunità di lavoro e servizi. Oppure esempi di comuni che hanno delle risorse particolari che potrebbero mettere a frutto in prospettiva. Per esempio c’è un capitolo che si intitola La capra di Montefalcone, perchè a Montefalcone nel Sannio, c’è una varietà autoctona di capra che potrebbe rappresentare un elemento da cui ripartire per poter ridare valore a quel territorio”.

In questo libro che riguarda l’Italia c’è molto Molise, tanti paesi, a partire dalla copertina, e da quelli che stanno sperimentando progetti piccoli o grandi di rinascita, o quelli che nascondono risorse specifiche non ancora valorizzate. Si muove sulla dorsale appenninica, prevalentemente in Molise, ma arriva fino alla Toscana e ci sono anche degli elementi comparativi.

Già dal titolo il libro restituisce un’immagine di questa Italia punteggiata di borghi, di villaggi, di contrade dell’Italia interna. Ma il volume vuole essere anche una denuncia.

“Una denuncia di scelte sbagliate che hanno portato a dimenticare l’Italia rurale e quindi il tema delle scelte politiche ed economiche che hanno marginalizzato le zone rurali, privilegiando i gradi centri urbani, le poche pianure e qualche tratto di costa. Questa analisi delle scelte politiche significa anche la sollecitazione per politiche che invece vadano nel senso di un riequilibrio tra le diverse componenti territoriali del paese. La Costituzione dice che siamo tutti uguali, ma per generare uguaglianza non si può trattare tutti allo stesso modo e occorrono quindi politiche specifiche, differenziate. Bisogna fare politiche adattate ai territori e ai caratteri dei territori e delle popolazioni, perché l’Italia è il regno delle diversità. Dunque, per creare una Italia più coese, più consapevole occorrono politiche. Il libro, quindi è una analisi storica, antropologica ma anche una sollecitazione verso nuove strategie, nuove scelte e appunto nuove politiche”.

Il professor Pazzagli nel suo libro descrive i “paesi come nodi strategici”, nodi cruciali di una rete che rappresenta l’insieme del territorio e da qui l’importanza delle comunicazioni, delle connessioni, dei legami tra paesi e anche la capacità dei piccoli comuni di fare politiche coordinate.

“Serve però una attenzione anche delle politiche centrali e una consapevolezza che i luoghi sono importanti anche quando ci stanno poche persone e questo è un passaggio importante. Ci sono dei timidi tentativi e in questo senso possiamo ricordare la SNAI, la legge a favore di piccoli comuni, ma sono ancora casi isolati. Dovremmo farle diventare politiche ordinarie che tengano conto della partecipazione, delle peculiarità dei territori, che ci facciano sentire più vicini a questi paesi e i paesi più vicini a noi”.

E il messaggio è chiaro, per rinascere occorrono opportunità di lavoro per restare o per tornare, ma servono soprattutto servizi per la popolazione a partire da quelli fondamentali come la salute, l’istruzione, la mobilità. Tutto questo vorrebbe dire rimettere al centro il territorio e i paesi che sono un grande patrimonio dell’Italia e delle sue regioni.

“Queste aree così allontanate, emarginate e dimenticate oggi possono essere un laboratorio per cercare nuovi modelli di economia, di stili di vita, di salute”.

Il volume, che è maturato nel corso di questa pandemia, riflette anche un po’ la biografia umana e professionale dell’autore, perché si muove tra Molise e Toscana e questo confronto è anche un po’ lo specchio dell’itinerario del professor Pazzagli, toscano e da quasi 20 docente all’Università del Molise. Proprio in Molise Pazzagli dice di aver imparato più da vicino la lezione della montagna, dei paesi e del territorio.

“Scrivere un libro non serve solo a insegnare qualcosa, ma anche a imparare qualcosa”.

Il volume dunque, partendo dai processi storici che ne hanno causato il declino, cerca di ridare voce a questa Italia ingiustamente definita “minore” e alle sue risorse diffuse, ricchezze e bellezze utili non solo alle comunità locali ma all’intera società, individuando i paesi come nodi nevralgici del patrimonio territoriale e come laboratori di rinascita nell’orizzonte incerto del nostro tempo, reso più cupo dalla pandemia.