di Antonio Di Monaco

È l’unico medico specialista a praticare le interruzioni di gravidanza in Molise e, come se non bastasse, è relegato in una torre d’avorio. Michele Mariano dirige il “Centro regionale per la procreazione responsabile, la contraccezione e le malattie sessualmente trasmesse” (come da delibera della Regione Molise n. 1126 del 4 novembre 2008) che si trova al primo piano dell’ospedale Cardarelli di Campobasso, ma nel reparto di Ginecologia non può mettere piede pur avendolo diretto dal 2007 al 2009 come “facente funzioni”, quando fu affidato in convenzione all’attuale Gemelli S.p.A. per decisione della giunta regionale guidata da Michele Iorio. Com’è facile intuire, la matrice cattolica della fondazione cui si richiama lo Statuto, impedisce che vi operino medici non obiettori di coscienza.

Da qui in poi, il dottor Mariano è diventato come l’ultimo giapponese nascosto nella giungla nella seconda guerra mondiale che non si è arreso all’evidenza non della fine del conflitto propriamente detto, ma dei numeri: in base alla relazione del ministro della Salute trasmessa al Parlamento il 9 giugno 2020 (periodo di riferimento 2018), risulta che in Molise la percentuale dei ginecologi obiettori è pari al 92,3%, ossia la più alta d’Italia. Un primato che va a braccetto con l’altrettanto unica separazione tra il Reparto di Ginecologia (dallo statuto di matrice cattolica della struttura cui è affidato in convenzione e che quindi non applica la legge 194) e il “Centro regionale per la procreazione responsabile, la contraccezione e le malattie sessualmente trasmesse” diretto, appunto, dal dottor Mariano, e da lui solo, nonostante vi sia anche un’altra persona, reclutata in base alla legge 194, ma ormai prossima alla pensione, che però non è mai entrata in relazione con lo stesso Mariano.

Il prossimo 28 maggio, per il ginecologo, matureranno i requisiti per la pensione. L’Asrem, per cautelarsi, ha emanato un bando per reclutare il successore, naturalmente obiettore di coscienza. “Ho chiesto all’azienda sanitaria di restare in qualità di libero professionista o dipendente ma, in ogni caso, toccherà a loro trovare la formula più giusta”, ha riferito ad OFF il dottor Mariano che, in quest’ultimo anno, a causa della pandemia, ha avuto nella sua Unità “un minor afflusso di donne, ma ciò è dovuto anche ad un maggiore e più consapevole utilizzo dei metodi contraccettivi. Ora attendo solo il riscontro dell’Asrem alla mia istanza per continuare a svolgere la mia attività”, ha chiosato.

In ogni caso, non sarà una missione facile in termini di garanzia di un servizio sanitario che, con grande impegno e profonda coscienza, il dottor Mariano ha sempre garantito alle sue pazienti, pur essendo solo, e che la dice lunga sulle dinamiche regionali in merito alla legge 194 e alle sue applicazioni. Bisogna anche ricordare che se è vero che, all’articolo 9 della legge stessa, l’obiezione di coscienza “esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza”, ma non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento. Quindi le donne, che già vivono il loro dramma interiore per la scelta da compiere, entro i primi 90 giorni di gestazione, se mettere al mondo un figlio o no come prescrive la legge, devono anche sentirsi emarginate perché l’unico che può dare seguito alla loro decisione è egli stesso relegato in una torre d’avorio solo perché applica un provvedimento dello Stato.

Nel 2016 il Consiglio d’Europa, su ricorso della Cgil, ha richiamato l’Italia sia per le difficoltà di applicazione della legge sia per la “discriminazione” nei confronti del personale sanitario non obiettore. L’anno dopo ha fatto lo stesso il comitato dei diritti umani dell’Onu, sottolineando come questi ostacoli portino a un aumento degli aborti clandestini. Con i suoi rischi e le sue tragedie. E dopo 43 anni, le donne incontrano ancora molti ostacoli e, il loro diritto a scegliere, è tutt’altro che garantito nonostante furono proprio loro ad imporre all’agenda politica un drammatico vissuto femminile fino ad allora relegato nel privato ed esposto, da un lato, al rischio di morte e, dall’altro, alla galera.