di Miriam Iacovantuono

I territori delle aree interne conservano eccellenze che vanno tutelate e valorizzate e a cui è necessario dare continuità garantendo alle popolazioni locali la possibilità di un reddito adeguato e di condizioni di vita e di lavoro attrattive. Tra le risorse a cui dare valore ci sono quelle agro-silvo-pastorali. Al margine del lavoro della Strategia Nazionale delle Aree Interne nasce la Scuola Nazionale della Pastorizia (SNAP), un progetto scaturito dalla collaborazione tra il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’economia agraria (Crea), Rete Appia, Università di Torino, Eurac Research, Consiglio nazionale di ricerca (Cnr), Nuova Economia di Montagna (Nemo) e Agenform.

Daniela Storti, tra i promotori della Scuola Nazionale della Pastorizia, racconta che attraverso l’ascolto degli attori rilevanti sui territori è venuto fuori che c’è una criticità rispetto alla presenza di attività come quella della pastorizia.

“Esistono ancora in molti contesti più marginali, delle aziende che fanno pastorizia, nel senso di zootecnia estensiva con pascolamento, però queste aziende sono sempre più scollegate dalla possibilità di accedere anche a un sostegno per quello che riguarda la parte tecnico formativa e quindi non c’è una interfaccia adeguata a sostenere questo tipo di attività sui territori”.

E’ stato così individuato un fabbisogno in termini di formazione e consulenza aziendale, andando così a creare attività e percorsi formativi, che vanno incontro alle esigenze di questo tipo di modello produttivo legato alla pastorizia in contesti marginali, all’interno di una logica di multifunzionalità e sostenibilità ambientale. Una attività formativa poi che non può essere uguale per tutto il territorio nazionale, ma che vuole mantenere l’aderenza alle vocazioni dei diversi territori e l’utilità rispetto alle esigenze dei destinatari. L’obiettivo è anche diffondere nella società la cultura legata al pastoralismo. Un progetto che si è costruito negli anni ed è diventato qualcosa di corposo grazie al sostegno di una rete sempre più ampia di soggetti tra di loro in forte interazione progettuale e scientifica. Tra questi soggetti ci sono gli enti firmatari insieme al CREA di un protocollo d’Intesa (Università degli Studi di Torino, Eurac Research) che punta ad agevolare il trasferimento dell’innovazione tecnologica, sociale e organizzativa nei settori agricolo e pastorale nelle alle aree interne e montane del Paese.

“Ad oggi è stato costruito un percorso formativo articolato che copre un’ampia gamma di macro aree teoriche (con moduli che vanno delle tecniche di pascolamento al diritto ambientale, dall’alimentazione alle tecniche di caseificazione, dalle relazioni tra pastori all’accesso alla terra). Aspetti per ognuno dei quali è stata costruita una scheda formativa pensando a quali sono gli elementi che servono a questo tipo di allevamento in questi contesti marginali e aggregando attorno a queste schede-materia tutta una serie di soggetti che potevano apportare una conoscenza rilevante. Il percorso formativo unisce quindi tutti gli aspetti che sono rilevanti rispetto alla formazione che serve a un pastore in un contesto di questo tipo. L’altro aspetto è che si è iniziato a costruire una serie di alleanze per sperimentare questo modello”.

Si parte dunque con una sperimentazione che avverrà in tre aree pilota – arco alpino, appennino centrale e appennino meridionale – e quindi in tre contesti differenti, ed è in fase di organizzazione la prima edizione completa che integra ad attività di apprendimento teorico, pratico (con moduli dedicati alle specifiche materie individuate) e stage in azienda.

“Un progetto dunque che vuole iniziare con il costruire un modello di formazione e a poco a poco instradare il sistema in quella direzione. Il concetto è che questa scuola vuole mettere in essere una formazione che è utile alla sostenibilità di un modello produttivo di allevamento che sta scomparendo in questi contesti e che scompare sia per un fatto economico e sia perché manca il riconoscimento nella società del valore legato alla cultura del pastoralismo. In un momento come questo in cui si punta alla biodiversità, alla tradizione, all’agrologia questo modello produttivo, che è coerente con la pastorizia, sta tornando al centro dell’attenzione, ma per poterlo sostenere correttamente non basta dare gli incentivi, ma bisogna costruire un sistema che lo sostiene anche sul fronte della formazione”.

La Scuola Nazionale della Pastorizia ha l’intento di riqualificare le risorse umane nel settore e nella fase di sperimentazione si rivolge in primis a pastori giovani già operativi o che si avvicinano e vogliono investire in questo comparto. La pastorizia in questo senso viene vista come un fenomeno qualitativamente rilevante perché i giovani che si stanno avvicinando a questo progetto sono giovani che hanno un approccio diverso, innovativo, che inseguono un modello che ha una modernità diversa, che parte dalla tradizione, ma che la mette in discussione in termini positivi e sempre coerenti rispetto al modello di sostenibilità.

La sperimentazione dunque partirà da alcuni temi e materie e rispetto all’intero percorso formativo e sarà temporalmente limitato.

“Si tratta quindi di riprendere un’attività tradizionale rendendola sostenibile economicamente e tecnologicamente rispetto al futuro. Quindi non si può riprendere a fare la pastorizia come la facevano i nostri antenati, perché i tempi sono cambiati, le tecnologie sono diverse e consentono di arrivare a prodotti che possono essere molto più evoluti e qualitativamente molto più elevati rispetto a quelli della tradizione”.

L’esigenza, quindi è creare un collegamento su quello che è il mondo della ricerca e quella che è la possibilità di trasferire questa ricerca sul modello estensivo nei territori dove serve e nelle aziende e nei contesti produttivi dove viene ricercato e può essere utile.

Una sperimentazione che può dare coraggio a chi decide di tornare a intraprendere un’attività e una pratica antica e che in passato ha dato sussidio a diverse generazioni e oggi può contribuire a far restare o tornare persone in queste aree marginali, anche in maniera innovativa. Ma allo stesso tempo si tratta di una pratica che ha un ruolo importante per la tutela del paesaggio e per il mantenimento delle biodiversità del territorio.