di Miriam Iacovantuono

Quando si parla di rigenerazione urbana si fa riferimento a uno strumento per riqualificare il territorio. Ridare nuova vita. Una rigenerazione che però allo stesso tempo diventa una linfa vitale per chi abita quel luogo che può essere un paese, una periferia di una città o anche uno dei quartieri che viene visto come una zona da evitare. Ed è così che nella periferia ad alta fragilità sociale che sta nel cuore del centro storico di Napoli, i Quartieri Spagnoli, nasce il progetto FOQUS – Fondazione Quartieri Spagnoli. Si sviluppa là dove nei primi anni del Cinquecento si è formata una vita fatta di gioco d’azzardo e povertà e dove oggi l’illegalità e l’attività criminale sono delle caratteristiche della zona. Renato Quaglia, Direttore delle Fondazione Quartieri Spagnoli, spiega che di fronte a questa fragilità sociale nasce ufficialmente nel 2013 il progetto FOQUS. Un progetto sperimentale di rigenerazione delle funzioni e della destinazione dell’intero ex Istituto Montecalvario.

“Il Monastero viene affittato alle scuole paritarie Dalla Parte dei Bambini dove il titolo della scuola è anche il programma di quello che fanno perchè seguono il modello della scuola attiva dove è il bambino che sta al centro del processo educativo e non l’insegnante”.

Ma non si tratta di farci solo la scuola, si tratta di portare avanti un progetto più ampio e innovativo di rigenerazione urbana.

“Sono stati coinvolti un centinaio di giovani donne e uomini in cerca di lavoro o che lo avevano perduto. Si lavora andando incontro a queste persone cercando di capire qual è la loro formazione o spiegare loro il modo per affrontare la ricerca di un nuovo lavoro per produrre autoimprenditorialità. Una sorta di formazione basica, di cittadinanza attiva”.

Andando così a ragionare su quelli che sono i desideri e non i bisogni. Si parte così con un asilo nido e mentre si lavora sulla formazione di un gruppo di donne che ha questo desiderio si porta avanti anche l’idea di creare mixate sociali.

“L’obiettivo è quello di mescolare corpi sociali e togliere dall’isolamento i quartierani. Perché i Quartieri Spagnoli sono una sorta di isola che i napoletani evitano di attraversare per timori sulla loro sicurezza o per non mescolarsi alle brutture. Formare delle educatrici di nido nella maniera migliore possibile e farle lavorare in un nido che è uno dei più belli di Napoli è un modo per garantire innanzitutto il massimo ai residenti di questo quartiere e anche perché quella qualità sarebbe dovuta essere tale da richiamare i bambini anche da altri quartieri della città e in particolare da via Toledo o da Corso Vittorio Emanuele che sono le strade che cingono il quartiere”.

Oggi – 7 anni dopo – questa cooperativa formata da 9 donne gestisce un asilo frequentato da 58 bambini che seguono le attività del nido, per cui c’è anche una lista di attesa. Si tratta di bambini del quartiere, ma anche di figli dei dipendenti delle attività di via Toledo – via dello shopping – che pur di seguire le attività di quel nido superano il muro metaforico che li separa dai Quartieri Spagnoli.

“Questo metodo lo applichiamo in altre parti della Fondazione. Si crea una qualità tale per cui ci portano altri cittadini della città qui nei quartieri. Oltre alla micro economia portano un confronto sociale che arricchisce anche loro. Si crea dialogo, scambio, crescita reciproca e per noi anche sostentamento e garanzia alle famiglie del quartiere che non possono permettersi una serie di servizi”.

Si è creata quindi una sorta di comunità fatta non solo della gente del quartiere ma di persone che hanno superato in qualche modo anche un pregiudizio andando a scalfire una sorta di fragilità. La strada non è stata semplice e sicuramente non sono mancate delle difficoltà, ma con il tempo quello che era ormai un Monastero vuoto è diventato una comunità e un luogo dove si sono insediate imprese e attività.

“C’è l’accademia Belle Arti di Napoli con due corsi di laurea, i fotoreporter dei quotidiani di Napoli, la redazione di un giornale sportivo online, una compagnia teatrale, una scuola di danza e altro. Sono circa 19 le imprese che hanno sede e partecipano ai costi che bisogna sostenere per pagare l’affitto alle suore. Si è creato un meccanismo di autosostenibilità di tutti i lavori fatti anche di restauro o di gestione.

Sono stati creati 169 posti di lavoro, sono 350 i bambini che tra nido, infanzia, primaria e secondaria seguono il ciclo scolastico. E’ stato aperto un centro per persone con disabilità cognitive, che vivono dentro questa struttura insieme agli altri, essendo questa una struttura dalle porte aperte. Nella struttura di FOQUS, si alternano progetti specifici dedicati al contrasto alla povertà e alla povertà educativa”.

Una riqualificazione che ha portato, in uno dei quartieri più fragili di Napoli, non solo una riqualificazione urbana e strutturale ma anche sociale. Si è sviluppato un modello che ha una sua originalità, che lavora sul versante educativo, su quello culturale, che ha creato posti di lavoro con assunzioni e sostegno di auto imprenditorialità a giovani e non.

Un’idea replicabile nel momento in cui si comprendono quelle che sono le condizioni di un contesto specifico.

Anche in Molise molto spesso parliamo di comunità, ma succede che per diversi fattori come possono essere le idee troppo campanilistiche o lavorare in modo parallelo senza trovare un punto di incontro, la comunità rimane astratta. Il progetto di FOQUS può ispirare un lavoro di collaborazione per andare a creare una rigenerazione urbana, ma anche sociale sul nostro territorio. Come ha spiegato Renato Quaglia, bisogna essere convinti, è un problema di forza e di convinzione.

“Un progetto di rigenerazione urbana vive di sue fasi, una di innesco e una di innesto, tutto nasce però da due fattori, quello della capacità di ascolto che serve a trovare quello che sta nei desideri e il rapporto professionale, poiché talvolta la generosità non basta, occorrono competenze e professionalità che si spendono”.