di M.I.

Rischiano di venire espulse dal mercato, per effetto della crisi innescata dalla pandemia, più di 73mila imprese di dimensioni piccole e medie. È quanto emerge da un’indagine svolta dal Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne-Unioncamere. I dati evidenziano che il rischio è alto per una fetta consistente di queste attività, il 15% del totale. A rischio soprattutto le imprese dei servizi (17%) che rappresentano una quota quasi doppia rispetto a quelle manifatturiere (9%). La diffusione di queste imprese nelle diverse macro-aree del Paese non è omogenea, pesando per il 55% nel Mezzogiorno, per quasi il 50% nelle regioni del Centro, e per il 46% e il 41% rispettivamente nel Nord-Ovest e nel Nord-Est. Ancora una volta a pagare un prezzo alto di questa situazione è il Sud e quindi anche il Molise.

Il Covid ha colpito un tessuto produttivo già fragile e in particolare quelle attività che hanno forti difficoltà a “resistere” alla selezione operata dal Covid come risultato di una fragilità strutturale dovuta ad assenza di innovazione (di prodotto, processo, organizzativa, marketing), di digitalizzazione e di export, e di una previsione di performance economica negativa nel 2021. Una criticità che si fa molto sentire anche nella nostra regione dove il divario digitale e una strutturazione diversa del commercio, lascia indietro diverse attività. A evidenziarlo è anche Gaetano Fausto Esposito, direttore generale del Centro Studi delle Camere di Commercio G. Tagliacarne, che avverte “è possibile che le imprese del Mezzogiorno possano conseguire quest’anno risultati ancora più negativi rispetto alle loro aspettative, perché meno consapevoli dei propri ritardi accumulati sui temi dell’innovazione e del digitale. Anche per questo c’è bisogno di un patto per un nuovo sviluppo che tenga conto della gravità della situazione e del preoccupante aumento dei divari nel nostro Paese”.

Il quadro che viene fuori è che a causa del calo del fatturato sono molte le attività che hanno deciso o stanno pensando di chiudere. A causa di questo però il rischio è che contestualmente si possa verificare un aumento del lavoro nero. Un lavoro parallelo che può riguardare diversi settori e che crea così una concorrenza sleale tra i lavoratori che pagano le tasse allo Stato e chi presta il proprio ma che ha smesso di fatturare. A questo si lega poi un altro aspetto, che è quello della tutela. E’ evidente che pur di lavorare c’è chi è costretto a decidere di mettere a rischio la propria incolumità accettando di svolgere delle mansioni per cui non si è tutelati.