di E.S.

Un solo ginecologo non è obiettore di coscienza. Siamo in Molise. Quel ginecologo si chiama Michele Mariano e dirige il Centro regionale unico per la procreazione responsabile (Legge 194/78). Ci sono molti modi per ridurre o eliminare un diritto. Si può cambiare la legge oppure, più discretamente e indirettamente, trovare un modo per rendere la sua applicazione sempre più incerta. Siamo sempre in Molise.

La regione ha la percentuale più alta di obiettori e con una sola struttura, il Cardarelli di Campobasso, dove si esegue l’interruzione volontaria della gravidanza. Com’è possibile garantire un servizio quando solo l’1% del personale non sceglie di obiettare? Come è stata la vita di quell’unico medico? E cosa accadrà quando andrà in pensione? C’è qualcosa che non ha funzionato nell’applicazione dell’obiezione di coscienza?

Le domande sono sempre le stesse. Le risposte sono spesso evanescenti. Qualcosa però, in Molise, si sta muovendo. Una questione che ha richiamato attivisti molisani (ricordiamo l’avvocato Matteo Fallica), associazioni locali e nazionali (importante il sostegno dell’A.P.E.), politici come la consigliera Patrizia Manzo e non poteva mancare la Commissione regionale per la Parità e le Pari Opportunità che insieme all’Ufficio di Presidenza, ha incontrato, lo scorso 26 maggio, la Commissaria ad acta per la sanità, dott.ssa Flori Degrassi.

La Commissaria, durante il colloquio, “ha garantito la prosecuzione del servizio di IVG in ospedale, avendo prolungato fino al 31 Luglio la permanenza in servizio del Dott. Mariano, in attesa dell’espletamento del concorso già bandito. Si è detta convinta della necessità di mantenere un Dipartimento autonomo per garantire la continuità del servizio, evitando quel che spesso accade nei reparti di ginecologia con Primari obiettori: i ginecologi neoassunti dichiarano obiezione in tempi piuttosto brevi”, ha reso noto la Commissione.

Non solo, “circa la fragile Rete dei Consultori sono state pienamente condivise dalla Dott.ssa Degrassi, la quale sulla base dei dati in suo possesso, compresi quelli della mobilità passiva, causata dalla carenza di offerta adeguata ai bisogni, ritiene necessaria ed urgente una radicale riforma del settore, insieme all’implementazione dell’intera medicina territoriale”.

Inevitabile sottolineare che le risorse a disposizione per garantire la salute dei cittadini sono limitate, e lo si è  drammaticamente imparato in questa crisi pandemica. E la Sanità pubblica, che si trova spesso a fare scelte dolorose su come impiegarle, ha il dovere (questa volta, ndr) di definire delle priorità e che non siano le donne a pagarne, come spesso accade, le conseguenze.