“L’esistenza di una multiforme varietà di sodalizi stranieri e di collegamenti con organizzazioni criminali all’estero soprattutto per il narcotraffico, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e la tratta di esseri umani finalizzata allo sfruttamento della prostituzione e del lavoro irregolare, documenta come la criminalità transnazionale rappresenti una minaccia reale a fronte della quale appaiono necessari un approccio globale e una più ampia visione del fenomeno”. A ribadirlo è la Direzione investigativa antimafia nella relazione semestrale al Parlamento, secondo cui “la ‘criminalità etnica’ è costituita da organizzazioni eterogenee per origini, caratteristiche strutturali e modalità operative che nel loro complesso rappresentano una componente consolidata nel panorama criminale nazionale”.

Tra i clan più strutturati si segnalano quelli nigeriani, albanesi e cinesi per “capacità organizzativa” e “spregiudicatezza criminale” ma attenzione meritano anche i gruppi formati da elementi provenienti dall’est Europa e dai Paesi ex sovietici, nonché dal Pakistan e in generale del Sud Est asiatico, che “premono per trovare il proprio spazio nel panorama delinquenziale italiano”. Quanto alla criminalità cinese, di regola “è incentrata su relazioni familiari e solidaristiche. I gruppi appaiono organizzati con una struttura chiusa e inaccessibile. Solo occasionalmente si rileva la realizzazione di accordi funzionali con organizzazioni criminali italiane o la costituzione di piccoli sodalizi multietnici per la gestione della prostituzione, la commissione di reati finanziari e il traffico di rifiuti”.

Un cenno a parte merita la situazione di crisi determinata dalla pandemia. Secondo la relazione, anche le mafie straniere “potrebbero sfruttare la situazione per alimentare ulteriormente la tratta di esseri umani inducendo persone che vivono in situazioni di grave disagio a migrare verso l’Europa salvo poi costringerle a ripagare i debiti spesso contratti per i viaggi con lo sfruttamento sessuale e il lavoro nero, nonché con l’impiego nella filiera della droga”. Non solo: “molti immigrati già presenti sul territorio nazionale hanno perso l’occupazione o sono scivolati in situazioni di precariato e di sfruttamento del lavoro. E la necessità di provvedere ai bisogni primari potrebbe far sì che molti soggetti cadano vittime dell’offerta di impiego da parte delle organizzazioni criminali sia di matrice etnica, sia italiana”.

E ancora, le cosche sono attive in numerose regioni italiane (46 le locali individuate, di cui 25 in Lombardia, 14 in Piemonte e 3 in Liguria) e, all’estero, in alcuni Paesi europei quali Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio, Olanda, Germania, Austria, Repubblica Slovacca, Romania e Malta nonché in Australia, Canada e Usa. Con la ‘Covid Economy’ è cresciuta la “capacità imprenditoriale” delle mafie. Che ora “potrebbero rivolgere le proprie attenzioni operative verso i fondi comunitari che giungeranno a breve grazie alle iniziative del governo per assicurare un tempestivo sostegno economico in favore delle categorie più colpite dalle restrizioni rese necessarie dalla emergenza sanitaria”. È l’allarme lanciato dalla Dia. Per effetto della pandemia, la tendenza delle organizzazioni criminali “ad infiltrare in modo capillare il tessuto economico e sociale ‘sano’ si è ulteriormente evidenziata”.