Se si lavora da casa, non c’è alcun controllo, quindi nessun obbligo di tampone o vaccino. Per cui un lavoratore sprovvisto di Green pass potrebbe puntare a fare più smart working possibile. Con che esiti?

Settore privato. Qui c’è ancora molto spazio per le scelte dell’azienda, e non ci sono tetti massimi di lavoro da remoto, laddove questo è fattibile. Quindi, in teoria, un lavoratore non vaccinato che resta al 100% in smart potrebbe lavorare senza green pass. Attenzione, però: la motivazione per concedere o meno il lavoro agile non può essere soggettiva (ossia legata alla condizione personale del dipendente: nel caso di specie, ho o meno il green pass), ma solo legata a condizioni oggettive, ossia a esigenze di lavoro. E se le due cose non coincidono, perché l’impresa ha necessità del lavoro in presenza, il dipendente senza Green pass non avrà diritto ad avere lo smart working.

P.A. Per i dipendenti pubblici, ci sono le “Linee guida” emanate dal governo. Al primo punto, quello sui controlli, si fa riferimento espressamente a “qualunque soggetto intenda entrare in un ufficio pubblico”: esistono insomma solo “controlli all’accesso”, non per chi lavori (fosse anche un solo giorno) da remoto. Dubbio risolto allora? Il pubblico dipendente sprovvisto di pass potrà chiedere di lavorare sempre da casa, evitando controlli? Non proprio. Perché anche in questo caso il secondo punto è molto esplicito: “Non è consentito in alcun modo, in quanto elusivo dell’obbligo, individuare i lavoratori da adibire a lavoro agile sulla base del mancato possesso del green pass”.