di Lucrezia Cicchese

“Ambulanti, vagabondi, lavoratori stagionali e anime inquiete ci sono sempre stati. Ma adesso, nel secondo millennio, un nuovo tipo di tribù errante sta emergendo. Persone che non avevano mai immaginato di diventare nomadi si mettono in viaggio. Abbandonano case e appartamenti tradizionali per vivere in quelli che alcuni chiamano “immobili su ruote” […]

Nomadland è il libro di inchiesta scritto dalla giornalista americana Jessica Bruder presentato nella cornice del Teatro Savoia a Campobasso in occasione della rassegna Poietika. La scelta di raccontare la vita nomade non è casuale. Oltre ad accompagnare uno dei tratti distintivi di una America spesso ingiusta è quanto di più reale stia accadendo in questi tempi. Nel Paese delle possibilità, sempre più persone si trovano a dover scegliere tra pagare l’affitto o mangiare. Una vita di stenti e ai margini dove, all’improvviso, una mattina ci si sveglia in strada senza preavviso alcuno. Una società in cui basta un ricovero in ospedale al momento sbagliato per mandare in fumo i risparmi di una vita. Una società che sta mettendo in crisi sempre più donne e uomini prossimi alla pensione. Dimenticati da tutti si spostano così con mezzi di fortuna tra un lavoro precario e sfruttato.

Jessica Bruder ha raccontato un viaggio di vita, tra sogni e speranze dei nomadi del nuovo millennio. Uno spaccato reale che si allontana dal mito del sogno americano per far intravedere verità spesso più umane e solidali. Come Valentino Campo ha sottolineato, la storia narrata riecheggia dell’insegnamento della ricerca della semplicità di Thoreau visto come atto di resistenza.

“Non vorrei che nessuno adottasse il mio modo di vivere, desidero che al mondo ci siano tante persone diverse quanto più è possibile e vorrei che ciascuno fosse così accorto di trovare e seguire la propria strada non quella di altri. È solo – scrive Thoreau – avendo un punto fisso e matematico che si può essere saggi, come il marinaio. Forse non arriveremo in porto nel tempo stabilito ma avremo seguito il vero cammino”.

Un cammino nomade dove emerge un’umanità dimenticata, fatta di legami e solidarietà. E così

“ho trovato la mia gente: un gruppo raffazzonato di disadattati che mi hanno circondato di amore e accettazione. Per disadattati non intendo perdenti e sbandati. Erano intelligenti, compassionevoli, laboriosi americani a cui è caduta la benda dagli occhi. Dopo una vita a rincorrere il Sogno Americano, sono arrivati alla conclusione che non era altro che un gigantesco imbroglio”.