di Miriam Iacovantuono

Affrontare il tema delle aree interne significa anche parlare di quelle che sono le opportunità di questi territori. Raccontare le esperienze di chi lavora a contatto con le comunità e costruisce progetti da cucire su queste zone, vuol dire dare una visione diversa di questi luoghi. Roberto Sartor, educatore e guida ambientale escursionistica, sostiene che questi sono territori di grande opportunità e per cui possono essere a tutti gli effetti dei laboratori in cui sperimentare azioni e progetti anche con un approccio di impresa o di impresa sociale.

“Parto dal presupposto e dalla convinzione che sono territori di opportunità. Là dove ci sono criticità, problematiche, vuoti vuol dire che chi ha energia, testa e intuizione, quelle criticità e quei vuoti li può andare in qualche modo a colmare facendolo anche diventare il proprio lavoro o il proprio interesse”.

Dopo aver vissuto in un paese a ridosso delle Dolomiti e diverse esperienze all’estero, Roberto da 10 anni è un abitante di Pennabilli, un piccolo paese dell’Appennino romagnolo dove è il cofondatore dell’associazione “Chiocciola la casa del nomade”. Una realtà che unisce giovani che hanno fatto di Pennabilli e delle montagne a confine tra Emilia Romagna, Marche e Toscana il loro habitat in cui vivere, lavorare, incontrare nuove persone, essere comunità.

I membri dell’associazione dunque sono dei mediatori che fanno da ponte tra la comunità e chi arriva da
fuori e vuole immaginarsi in questi contesti, tenendo in considerazione anche quelli che sono i loro bisogni.

“Chi decide di andare in un piccolo paese scommette una carta importante e a volte anche solo avere qualcuno che accoglie e dà la possibilità di tornare e stare, è essenziale”.

E in questo si percepisce il senso di comunità e il lavoro di cooperazione e di condivisione che l’associazione vuole portare avanti.

“Siamo una comunità che coopera, scegliendo di rimanere informali per tenere insieme bambini, adolescenti, giovani, adulti, anziani e per fare delle cose che abbiano una forte intergenerazionalità”.

Attraverso questo, l’associazione coglie la sfida di vivere e di abitare le aree interne. L’idea è che questi sono territori di opportunità per i giovani e soprattutto per quei giovani che grazie ad esperienze precedenti o per attitudini sono di fatto in collegamento con il mondo.

“Parlare di giovani che vivono le aree interne non significa parlare di giovani che vivono solo le aree interne, ma bisogna avere uno sguardo più ampio, uscire dalla dicotomia aree interne/aree urbane e avvicinarsi ad un approccio sistemico che guarda alla relazione tra territori e persone. È importante soprattutto capire che abitare questi luoghi non significa abitarli per forza 365 giorni all’anno. Ci possono essere persone che non vivono in questi posti ma che sono portatori di idee, di entusiasmo, di progetti e quando arrivano considerano questo posto casa nonostante risiedano in una grande città o altrove. E queste persone sono più abitanti di quelli che ci sono 365 giorni all’anno e che però non si prendono cura di questi territori. Abitare, investire e lavorare in queste aree significa anche creare una comunità in grado di accogliere, una rete tra competenze e persone, la possibilità di avere strumenti per sviluppare progetti assieme”.

E lavorando su questo sono diversi i progetti che l’associazione sta portando avanti all’interno del Parco naturale del Sasso Simone e Simoncello, con lo scopo di valorizzare i luoghi a partire dalle persone con una particolare attenzione ai ragazzi, ai giovani, perché è importante partire proprio dalla comunità.

“L’etimologia del termine “comunità” riconosce nell’impegno (dovere) che è anche dono la natura dell’appartenere e riconoscersi in una collettività. Farne parte richiede impegno, attivismo, solidarietà, diversità. Ed è grazie a questo ruolo pro-attivo che si soddisfa uno dei bisogni della nostra società globalizzata: il bisogno di comunità – ed è sulla capacità delle aree interne di soddisfare questo bisogno contemporaneo che si può scrivere un nuovo domani”.

E guardando al futuro l’associazione vuole essere sempre pronta al cambiamento.

“Lo scopo è quello di riuscire ad essere sempre pronti ad accogliere i cambiamenti, prendere forme ed essere disposti a cambiarle in base alle opportunità o ai bisogni del nostro gruppo o della comunità in cui agiamo. Continuare a co-progettare, ideare insieme, costruire futuri possibili. Il macro obiettivo è quello di stare bene in questi posti e di farlo insieme”.

Le aree interne, dunque possono davvero diventare un laboratorio di rigenerazione comunitaria, dove ripartire da fragilità e potenzialità.