di Miriam Iacovantuono

I paesi delle aree interne, negli ultimi anni, sono stati caratterizzati da una migrazione di giovani che hanno deciso di fare esperienza fuori, là dove vedevano maggiori opportunità. Una situazione che ha caratterizzato e continua a caratterizzare diversi territori d’Italia, dal Molise alla Puglia, dalla Campania alla Sardegna. Ed è proprio in Sardegna che però il periodo della pandemia ha fatto in modo che potesse nascere una iniziativa grazie a una migrazione di ritorno di sei ragazze che erano andate fuori per motivi di studio e di lavoro e che si sono ritrovate ognuna nel suo paese di origine della Sardegna in un periodo, come quello del lockdown, in cui tutto si è fermato.

Con l’idea comune di voler costruire il proprio futuro in Sardegna e la preoccupazione per il fenomeno dello spopolamento che caratterizza i paesi delle aree interne dell’isola, è nata l’idea di SardiniaSpopTourism, che nel nome unisce proprio il concetto di spopolamento e di turismo. Annalisa Loddo, una delle sei ragazze, spiega che all’inizio doveva essere un semplice progetto di promozione turistica in vista della riapertura dopo il lockdown. Con un banale #SpopTourism si volevano promuovere piccoli centri della Sardegna, da lì però il discorso è diventato più ampio fino a mappare tutte le realtà imprenditoriali presenti nei borghi che sono stati inseriti in una lista di paesi sardi che entro il 2060 spariranno a causa dello spopolamento. Una mappa che poi è si è ampliata tenendo in considerazione non solo quei paesi a rischio scomparsa, ma anche altri paesi sardi con una popolazione inferiore a 3mila abitanti. E così questo gruppo di giovani donne si è messo a disposizione di realtà
imprenditoriali e associative che resistono in queste aree e ne mantengono vive le comunità, la relativa
cultura, il tessuto sociale ed economico.

“Il nostro progetto parla di spopolamento attraverso la ricerca delle realtà imprenditoriali virtuose nei paesi che hanno fino a 3mila abitanti e vuole capire quale possa essere il valore positivo dello spopolamento. Quindi parlare di spopolamento non solo in chiave negativa come siamo abituati a fare, ma anche positivamente proprio in vista anche del fatto che nel nostro ideale le persone da quando hanno iniziato a viaggiare dopo il lockdown, stanno cercando piccoli centri, a differenza di altre mete turistiche sarde molto più conosciute”.

L’idea dunque è quella di esplorare e quindi valorizzare questi territori meno conosciuti sia da un punto di vista turistico che demografico e lavorativo. Il progetto, che ha portato poi alla nascita dell’associazione Ru.Ra.Le – Ruoli Radici Legami – che sono i tre pilastri che portano avanti SardiniaSpopTourism, si muove su due livelli. Uno è quello del turismo con il sito www.sardiniaspoptourism.it che a fine maggio sarà lanciato anche in inglese con la possibilità di raggiungere un numero maggiore di utenti. Una vetrina turistica dove vengono inserite tutte le realtà che sono state mappate, facendo raccontare qualcosa del loro lavoro. Il mezzo che è stato scelto sono delle cartoline di chi resta per chi viaggia, scritte dagli imprenditori al viaggiatore che vorrà andare a visitarli.

“Vogliamo che il turismo faccia da traino a invogliare e stimolare le persone a fare sempre meglio anche all’interno della realtà che vivono, a non abbandonare quei luoghi e spesso anche a far ritornare le persone che come noi sono andate via. L’obiettivo è quello di far capire che non è vero che in Sardegna non si può far niente, ma semplicemente si deve solo avere la pazienza di costruire qualcosa e crederci, anche nei piccolissimi centri”.

L’altro livello riguarda la collaborazione per aumentare il capitale sociale all’interno di queste aree che sono caratterizzate da un profondo spopolamento e dalla disillusione degli abitanti che vivono in quei luoghi.

“Si tratta di collaborazioni e di sinergie all’interno del territorio, perché crediamo assolutamente che senza la collaborazione, sopratutto in centri che hanno queste caratteristiche, sia molto difficile poter operare in Sardegna”.

Grazie ad un finanziamento del CES – Corpo Europeo di Solidarietà – c’è stata la possibilità di finanziare una serie di incontri – sette in presenza inizialmente divisi per territori e poi un unico incontro – per tutti gli imprenditori e le persone coinvolte attive nel territorio sardo e in cui sono stati trattati i temi del turismo e dello spopolamento in particolare.

“Abbiamo fatto fare delle attività di formazione non formale a tutte le realtà coinvolte partecipanti ai nostri incontri proprio con l’obiettivo di far nascere nuove sinergie tra di loro. È stato molto bello perché in così pochi incontri e lavorando insieme in poche ore, sono già nate tantissime collaborazioni e tantissimi progetti che pubblicheremo sul sito per una promozione e quindi un ulteriore stimolo per loro affinché possano continuare ad andare avanti come stanno facendo e avere nuovi stimoli per creare qualcosa di nuovo”.

Un lavoro di squadra che può portare a superare la disillusione degli abitanti che attraverso questo progetto hanno avuto la spinta per poter andare avanti, promuovere il territorio e le proprie attività imprenditoriali che permette loro di rimanere in questi luoghi anche con più entusiasmo e sentendosi meno soli. Un lavoro che Annalisa e le sue compagne intendono portare avanti e quindi costruire qualcosa di produttivo per il loro territorio.

“Nel prossimo futuro continueremo con le attività della nostra associazione con servizi per realtà imprenditoriali e pubblica amministrazione. Per quanto riguarda SardiniaSpopTourism speriamo di poter ingrandire ancora il nostro sito e renderlo una vetrina promozionale a tutti gli effetti, non solo dove le persone possono consultare e leggere la storia di chi ha scelto di costruire o portare avanti un’attività in un paese spopolato della Sardegna, ma farlo diventare un punto di riferimento per il turista che vuole creare un itinerario fuori dalle mete turistiche più gettonate della Sardegna e vuole fare qualcosa di diverso e vivere esperienze completamente nuove, molto più a contatto con le persone del luogo e in contesti più piccoli e familiari”.

Si tratta dunque di un progetto che crede nel diritto di abitare, crescere e costruire nei luoghi che si amano e si hanno più a cuore. Ha lo scopo di comunicare la pluralità di identità culturali che compongono le comunità che abitano questi territori, di raccontare l’innovazione silenziosa che si mostra sotto forma di prodotti, servizi ed esperienze in questi luoghi che devono essere visitati e vissuti perché se ne possa cogliere l’essenza. Un’idea che può essere così replicabile in altri territori delle aree interne del Paese, fortezze di resilienza e resistenza.