di Miriam Iacovantuono

Il territorio dei piccoli paesi, da nord a sud dell’Italia, è caratterizzato da elementi di unicità che descrivono la loro identità. E anche se sono accomunati da un unico destino legato all’abbandono, allo spopolamento, alla dismissione dei servizi, hanno un enorme patrimonio di bellezza ambientale e culturale, significative potenzialità di rilancio e solide aspettative collettive. Partendo da questi elementi Adriano Paolella – architetto, ambientalista, docente di tecnologia al “dArTe” Università Mediterranea di Reggio Calabria e consulente scientifico di Italia Nostra – nel libro “Il riuso dei borghi abbandonati – esperienze di comunità”, tratta il tema della riqualificazione dei borghi italiani.

Lo scopo del volume è quello di confrontare le diverse modalità di approccio al riuso dei piccoli insediamenti valutando, in maniera positiva, quelle che favoriscono la conservazione e l’innovazione delle culture locali, privilegiando le esperienze di attivazione dal basso. Nel libro, dunque, si parla di insediamenti di piccole dimensioni, collocati nelle aree interne e in contesti paesaggistici e ambientali qualificati, caratterizzati da cali demografici, dall’invecchiamento della popolazione e con un patrimonio storico, architettonico e una cultura materiale e immateriale identitaria.

L’analisi che viene fatta di questi piccoli paesi, abbandonati o semi-abbandonati, mostra come oggi questi territori possono rappresentare un vero e proprio laboratorio sociale, dove individui e comunità sperimentano modalità insediative diverse da quelle sostenute da una cultura monolitica fondata su un’economia di denaro non equa.

Ed è proprio la marginalità di questi luoghi che può essere considerata un punto di forza per instaurare nuove relazioni e sinergie, per integrare culture diverse, per sperimentare scelte di vita tese al benessere individuale e collettivo. Elementi che si uniscono a un patrimonio materiale e immateriale che conserva la
memoria e l’identità di quel territorio e rappresenta un potenziale per comporre modelli sociali e insediativi di qualità.

“Ciò che non è più utile può essere trasformato”.

Proprio il riuso, come viene spiegato nel volume, può favorire le comunità a non sprecare un patrimonio edilizio, la cui utilizzazione può ridurre gli effetti negativi nell’ambiente connessi con nuove costruzioni. Si può così lavorare alla ricerca di modelli finalizzati alla riqualificazione dell’ambiente e della società, per incrementare il benessere delle persone migliorando le relazioni sociali, la sostenibilità nell’uso delle risorse, l’autonomia culturale e produttiva di individui e comunità.

“Ciò che è abbandonato da qualcuno può essere utile a qualcun altro; partendo dai gusci degli edifici, dalla stretta relazione tra luoghi e risorse vi è la possibilità di comporre forme nuove di contemporaneità e di vivere realizzando il proprio futuro”.

L’autore, con il contributo di altri interventi, nel volume descrive cosa significa vivere in un piccolo insediamento. Si ha la sensazione di essere attore della propria esistenza, di riuscire a trovare un equilibrio e una soddisfazione personale, di raggiungere il successo. Tutto questo è favorito dal rapporto diretto con
i “decisori” e da un rapporto stretto con le comunità. C’è il piacere di riusare quanto è stato scartato. Ed è
in questa dimensione che si dà valore alle azioni individuali e collettive, dove riemergono i valori del
lavoro manuale, del contatto con gli altri, del rapporto con i luoghi.

E se il processo di riuso può essere scoraggiato dal numero ridotto degli abitanti, dall’età avanzata, dalla scarsa consapevolezza delle potenzialità del territorio, dall’allontanamento dei giovani e dallo svuotamento dei borghi, per incrementare lo sviluppo di conservazione sono necessarie azioni stimolate da interventi esterni affiancati a persone e luoghi e questo può dare valore alle potenzialità locali e portare alla formazione di nuove comunità. Queste aree marginali, dunque, devono essere viste come luoghi dove ciò che c’è, gli elementi del passato,
possono essere riletti in modo innovativo. Luoghi che possono essere considerati come laboratori di innovazione.

“Abitare di nuovo piccoli paesi, frazioni, borghi, implica la loro conservazione, ma anche l’adattamento degli edifici e la riattivazione sociale”.

E così il (ri)abitare – abitare di nuovo – deve essere innanzitutto un progetto sociale e ambientale facilitato dal riuso dei manufatti esistenti, ma è evidente che il recupero degli insediamenti si deve ottenere attraverso un progetto sociale non speculativo. L’analisi che viene fatta nel libro mette inoltre in evidenza che per rendere questi paesi più attraenti e per cercare di far rimanere le persone, oltre a incentivare quello che c’è e quindi cercare di far sviluppare delle opportunità lavorative (agricoltura, pastorizia, artigianato), bisogna puntare anche sulle attività culturali – attività dalla pittura al teatro, che se ben ideate possono portare effetti positivi nella creazione del lavoro locale.

“Il lavoro viene più facilmente generato quando la gestione e valorizzazione delle risorse culturali e ambientali, unita all’innovazione di nuove attività collegata alle produzioni artigianali e agricole forniscono un’offerta articolata e coesa in cui la singola attività e i singoli operatori si sostengono vicendevolmente”.

Progetti condivisi, autonomia produttiva, qualità artigianale, sostegno reciproco, attenzione nei confronti dei luoghi e delle persone sono gli elementi che caratterizzano il modello produttivo della valorizzazione.
Contemporaneamente alla riattivazione del lavoro, sono necessari i servizi pubblici che rendono vivibili
questi luoghi. Un vero e proprio cambiamento, dunque, che però non deve essere imposto dall’alto, ma
deve avvenire attraverso le esperienze, la valorizzazione delle identità e i legami di appartenenza. Le comunità hanno il diritto di contare ed essere quindi protagoniste delle scelte che vengono fatte per il
loro territorio.

E quando il legislatore interviene, anche in merito alle iniziative che partono dal basso, è necessario   ci sia una gestione unica delle strategie di intervento, perché quando si attivano proposte incoerenti con i luoghi e lontane dalle sperimentazioni in atto, rischiano di deteriorare paesaggio, insediamenti e cultura locale senza portare benefici diffusi e duraturi.

“Il riuso dei piccoli insediamenti è fondato sull’adegua utilizzazione delle risorse materiali e immateriali presenti localmente; se però l’uso diviene sfruttamento si può alterare il contesto e quindi inibirne la potenzialità”.

Allora bisogna diffondere la consapevolezza che le risorse devono essere curate e non sfruttate. E in questo il fattore umano mantiene un primato indiscusso nel “processo di rigenerazione” – come dice Franco Arminio – per questo bisogna avere il coraggio di essere visionari. Questo però non significa essere sprovveduti e i documenti delle Nazioni Unite sulla sostenibilità, la Convenzione di Faro, il Piano Strategico di Sviluppo del Turismo, la Legge sui Piccoli Comuni, la Strategia Nazionale delle Aree Interne, il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, le linee guida UNESCO e MIBACT e diversi altri documenti, sono un riferimento per creare modelli di intervento con al centro le comunità e con lo scopo di facilitare la conservazione e la valorizzazione di piccoli insediamenti dal basso.

Le diverse esperienze citate nel volume mostrano che nel paesaggio e nei caratteri insediativi e sociali si individuano le maggiori potenzialità per il riuso e che le soluzioni partecipative funzionano. Infatti, in più occasioni nel libro e attraverso diversi interventi che raccontano delle esperienze, viene evidenziato che la partecipazione attiva e consapevole della cittadinanza alimenta il processo di rigenerazione urbana e questo può contribuire alla valorizzazione economica, sociale, culturale del luogo.

E allora, c’è un futuro per i centri minori?

Certamente la soluzione non potrà essere univoca. Studiando diverse strategie per il recupero e la rivitalizzazione dei centri minori, valutando caso per caso, in base ai limiti e alle potenzialità del luogo, si potrà trovare la soluzione per recuperare il patrimonio immobiliare dei piccoli comuni italiani. Sicuramente si potrà investire sulla pianificazione urbano-sociale e permettere al piccolo paese di esprimere a pieno il potenziale di comunità, realizzare politiche urbane capaci di assimilare nuove politiche di welfare, partendo da realtà esistenti, riprogettare affinché i cittadini possano riappropriarsi di luoghi importanti per la comunità.