L’Italia è ancora in fase di stallo dal punto di vista retributivo. Una situazione questa condivisa con la Spagna e Grecia. Secondo uno studio redatto dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio, in relazione al salario medio emerge un incremento del gap con i valori dell’Unione Europea.

Ad incidere è l’aumento del lavoro precario e delle basse qualifiche, tratti distintivi di un mercato del lavoro e di un sistema produttivo con bassa propensione all’innovazione e orientato alla riduzione dei costi di produzione tramite compressione salariale, in particolare nelle micro e piccole imprese in settori a basso valore aggiunto.

Lo studio si basa sulle più recenti statistiche Eurostat e mette in relazione il 2021 con il 2019: si osserva come Spagna e Italia non abbiano ancora recuperato il livello salariale medio precedente l’emergenza Covid, mentre in Francia e Germania, così come nella media dell’Eurozona, l’aumento è stato invece superiore a 2%. A incidere sul valore del salario medio italiano è sia la forte discontinuità lavorativa sia la maggiore presenza delle qualifiche più basse. Nel 2021, ad esempio, l’Italia ha la quota di dirigenti (1,4%) e di professioni intellettuali e scientifiche (13,6%) più bassa.

Per ridurre la diffusa precarietà – che ad aprile del 2022 ha toccato quota 3,2 milioni di occupati a termine, la più alta mai registrata dal 1977 (ISTAT, 2022) – è fondamentale intervenire a livello contrattuale dando valore all’occupazione stabile.