La cultura può essere considerata il motore per lo sviluppo del territorio. Troppo spesso a fare da cornice a incontri culturali, dibattiti ed eventi sono i salotti dei centri più grandi, delle grandi città. Al margine rimangono così quelle zone interne che sempre più spesso vedono la popolazione invecchiare, poche opportunità di lavoro e una carenza di servizi.

Ma questi territori però hanno una ricchezza di patrimonio culturale materiale e immateriale che non possiamo ignorare e da dove partire per ripensare a nuove occasioni di sviluppo economico e sociale, ma anche culturale. E quindi tornare a fare cultura nelle aree interne, nei paesi più piccoli e spopolati della regione, quelli compresi nelle aree ancora maggiormente interessate dalla depressione non solo economica, ma sociale e culturale, partendo da quel patrimonio, dalle tradizioni e dalle ricchezze autentiche e che solo questi territori hanno.

Da qui parte l’idea di promuovere incontri culturali nelle aree interne del Molise, con lo scopo di fare rete e portare soluzioni per il territorio.

Gino Massullo, direttore della rivista Glocale e ideatore dei primi incontri partiti lo scorso anno a Bagnoli del Trigno, evidenzia che la prima causa di impoverimento culturale dei territori la si ritrova proprio nello spopolamento da essi subito.

“Uno spopolamento che nei decenni del secondo dopoguerra assunse i caratteri dell’esodo e che ancora oggi costituisce il principale problema delle aree interne molisane come di quelle di tutto l’arco appenninico ed anche alpino. L’emigrazione definitiva della popolazione delle colline e delle montagne italiane verso le città di pianura e i centri dello sviluppo industriale nel nord del paese, nel resto d’Europa, oltre oceano, ha sottratto alle aree interne importanti risorse umane. Ancora, e con particolare rilievo, ai nostri giorni i giovani che conseguono un titolo di studio superiore sono troppo spesso i primi ad abbandonare i propri paesi di origine, abbassando così sensibilmente la media, già non entusiasmante anche a livello nazionale, del grado di istruzione delle popolazioni locali”.

Uno spopolamento che di conseguenza porta con sé un impoverimento culturale. Negli anni, infatti la dimensione culturale locale dei centri minori, un tempo ricca ed originale proprio perché capace di stabilire uno stretto contatto tra dimensione locale e le correnti culturali nazionali ed anche internazionali, si è tinta di un provincialismo costituito da inferiorità e riscatto locale per un passato che nel tempo è stato mitizzato o inventato. La stessa percezione di sé delle persone rimaste a vivere nelle aree interne, la loro identità culturale è, in molti casi, mutata nel corso della modernizzazione del paese.

Per ribaltare allora questa visione si sceglie la strada culturale e spostare il fulcro proprio in quei territori marginali.

“Scegliere la cultura come elemento prioritario, ma non esclusivo, per l’avvio della rigenerazione delle aree interne vuol dire essenzialmente lavorare per la costruzione di una nuova identità culturale e sociale dei loro abitanti che dovranno essere i protagonisti del cambiamento nei loro territori. Rileggere, criticamente il proprio passato, la propria storia, conoscere l’articolazione culturale che ancora oggi, pur tra enormi difficoltà, connota le aree interne, nel nostro caso quelle molisane, è prerequisito necessario perché un nuovo modello di sviluppo, autonomo, sostenibile, prodotto dal basso, si affermi”.

L’invito di Massullo è dunque che i molisani riflettano sul proprio passato e sul proprio presente acquisendo così la consapevolezza che la marginalità di certi territori non è una caratteristica costante nel tempo. Si tratta di territori, che seppur periferici, hanno avuto un proprio ruolo e un proprio valore e che dovrebbero recuperare la consapevolezza della propria presenza nella storia. Una consapevolezza necessaria ai molisani, agli individui e alle società per costruire il proprio futuro.

Questo dunque lo scopo che ci si pone nel fare cultura nelle aree intere, lo stesso che ha conseguito Gino Massullo con il progetto intrapreso a Bagnoli del Trigno che presenta allo stesso tempo punti di forza e punti di debolezza.

“I punti di forza sono la larga partecipazione all’iniziativa delle principali agenzie culturali della regione, dall’Università del Molise con i suoi laboratori ARiA e Biocult, all’Università di Praga, alla Sovrintendenza archeologica, belle arti e paesaggio, all’Istituto nazionale di archeologia, del più qualificato associazionismo molisano, di alcuni enti locali, insieme alla partecipazione attiva ed assidua di intellettuali e operatori culturali molisani e no. Il punto di debolezza è il fatto che nella composizione dell’ampio pubblico partecipante minoritaria è stata, almeno finora, la partecipazione proprio degli abitanti del Medio Trigno e del Molise tutto, della gente comune, dunque dei concreti protagonisti delle economie e delle comunità locali, a cui la nostra proposta è più direttamente indirizzata. Ma confido che con una migliore comunicazione riusciremo presto a coinvolgerli maggiormente”.

Un valido progetto che nel futuro mira alla costruzione di un programma di sviluppo territoriale sostenibile partecipato. Un programma che parte dal basso e che vuole coinvolgere direttamente le popolazioni locali del Medio Trigno organizzate nei diversi settori produttivi di appartenenza, nell’associazionismo civile, in quello religioso, nel sindacato, in tutti quei corpi intermedi che fanno la ‘società civile’.

“Per una volta le popolazioni locali del Medio Trigno, anche in relazione ai futuri appuntamenti elettorali locali, non saranno chiamate ad aderire semplicemente a programmi, solitamente vaghi e generici, proposti dai diversi candidati alle competizioni elettorali, ma invitate ad una serie di incontri nel corso dei quali esse stesse possano individuare i propri bisogni e definire gli obiettivi programmatici per esaudirli, chiedendo ai candidati un confronto su di essi, facendosi così veri protagonisti del proprio futuro.  Un tentativo innovativo di praticare davvero la democrazia partecipata oltre i limiti elettoralistici di quella unicamente rappresentativa e fuori dalla demagogia autoritaria di quella, cosiddetta, diretta”.

Ma lo sviluppo culturale di un luogo passa necessariamente attraverso lo sviluppo strutturale del territorio stesso. Ed è per questo che l’infrastrutturazione telematica e stradale è certamente presupposto di ogni rigenerazione futura delle aree interne.

“Di questi aspetti la responsabilità della risposta è tutta del governo e degli enti locali, che dovrebbero mostrare la propria volontà e capacità politica di rispondere a tali fondamentali bisogni. Il coinvolgimento delle popolazioni locali nel sollecitare tali interventi è fondamentale ed implicito. Si tratta soprattutto di individuare le forme e i tempi giusti di questa partecipazione. Non interventi estemporanei, sull’onda di un momento di particolare emergenza o, peggio ancora, di scadenza elettorali, ma coinvolgimento stabile nel tempo e organizzato secondo le forme di quella già citata ‘società civile’ che nella originale accezione gramsciana, non è, come oggi si tende a credere e a far credere, la gente, il popolo, genericamente e populisticamente intesi, ma la società organizzata nei suoi corpi intermedi, come il sindacato, l’associazionismo e tutte le altre forme organizzative finalizzate a rappresentare gli interessi delle comunità ponendosi come tramite tra il semplice cittadino – che ad esse partecipa da protagonista – e le istituzioni. Un modo per passare dal clientelismo al protagonismo”.

La cultura, in questi territori dove troppo spesso è il campanilismo a farla da padrone, potrebbe essere quell’elemento necessario per rimarginare le spaccature, conseguenza di incomprensioni, ignoranza o presunzione. È la cultura dunque quel punto di partenza per poter permettere ad una o più comunità di unirsi per raggiungere un unico obiettivo, in questo caso la valorizzazione e la (ri)nascita del territorio che troppo spesso è vittima di emigrazione e invecchiamento della popolazione.