di Alessandro Matticola

L’11 settembre 2001 è una data storica per le relazioni internazionali contemporanee. Ma c’è un altro 11 settembre altrettanto importante, che nei libri di storia ha perso di importanza.

Il luogo non è New York e l’anno non è il 2001. Bisogna tornare indietro di 21 anni e spostarsi di circa 8 mila km, dopo l’equatore, letteralmente dall’altra parte del mondo, anzi, quasi alla fine, sulle sponde del pacifico.

Ci spostiamo a Santiago Del Cile, all’ombra della Cordigliera Delle Ande.

Il presidente del Cile, in quegli anni, è Salvador Allende. Ex ministro della Sanità e delle Politiche Sociali, Allende è un esponente del Partito Socialista del Cile. E’, dopo l’isola di Cuba, il secondo paese filo marxista e filo sovietico nell’emisfero occidentale e per di più – geograficamente parlando – al di sotto della bandiera a stelle e strisce americana.

Allende era un “comunista accademico”, come Craxi definì Berlinguer in un’intervista di Giovanni Minoli. Il suo programma che vide il Cile entrare in una stagione riformista prolifica. Un programma apertamente filo comunista, che andava dall’assicurazione sanitaria per le fasce meno abbienti della popolazione alla sicurezza dei lavoratori in fabbrica e importanti programmi di istruzione e di tutela per i bambini, come la distribuzione gratuita di cibo nelle scuole. E poi le nazionalizzazioni, la conversione laica dello stato, le telecomunicazioni e i diritti delle donne.

Tanti anche i punti controversi, in particolare la legge per il trattamento sanitario obbligatorio per tossicodipendenti e omosessuali, oppure la sterilizzazione da adulti di malati di mente, alcolisti cronici, epilettici, personalità definite “asociali” e individui affetti dalla corea di Huntington.

Tolto questo, il Cile visse sotto il governo Allende uno dei momenti più prosperosi della sua storia, anche sotto il profilo culturale.

Allende ebbe un rapporto molto stretto con Cuba. Fu grazie a lui che l’opera di Ernesto Guevara De La Serna, detto “El Che”, venne ritrovata e pubblicata. Allende venne in possesso del diario personale di Guevara, che rispedì a L’Avana nel 1970 per permetterne la diffusione. E fu grazie ad Allende che i sopravvissuti della fallita spedizione in Bolivia poterono tornare a Cuba, con un’imponente spedizione di salvataggio.

Ma gli Usa non potevano ammettere la presenza di un paese comunista nel loro territorio. C’era già Cuba e a ridosso del Muro Di Berlino, vi era anche la sinistra italiana a destare non poche preoccupazioni. Allende non trovò vita facile nel parlamento cileno. La Democrazia Cristiana cilena, ossia la falange cattolica lontana dal progetto della “via cilena al comunismo” della sinistra di cui Allende era esponente (il MAPU, Movimento d’Azione Popolare Unitario, che appoggiò Allende, era una falange cattolica), venne subito “ingaggiata” dalla CIA per rovesciare il governo Allende.

Ci furono diversi tentativi da parte del governo Nixon di rovesciare Allende. Prima le operazioni “Track I” e “Track II” per impedire invano l’elezione del presidente maxista, poi il “Progetto FUBELT” e “Operazione Condor”, che vide il coinvolgimento delle forze di estrema destra e dei militari. L’idea era di un colpo di stato, attuato con il coinvolgimento delle forze militari.

Nel 1973, Allende aveva perso consensi nella sua colazione “Unidad Popular” e si concretizzò il primo tentativo fallito di sfiduciare il Presidente in parlamento. A maggio dello stesso anno, la Corte Suprema del Cile denunciò Allende per abuso di potere, per il continuo rifiuto nel consentire le risoluzioni di polizia giudiziaria in contrasto con le misure del governo. Il 29 giugno il colonnello Roberto Souper circondò con il suo reggimento il Palazzo della Moneda, la residenza ufficiale del presidente cileno, con l’intento di deporre Allende, ma l’intervento del Generale Carlos Prats, poi nominato Ministro della Difesa due mesi dopo, fedele ad Allende, fece fallire il golpe. Alla fine del mese di luglio, uno sciopero generale che includeva i minatori di El Teniente, aumentò ulteriormente la tensione nei confronti di Salvador. Ad Agosto ci fu una nuova crisi costituzionale con un nuovo tentativo di rovesciare il governo Allende per atti incostituzionali. In tutti i modi si era cercato di evitare il piano di nazionalizzazioni e Allende si rifiutò di adottare le misure approvate dal parlamento.

La tensione quell’estate era alle stelle. Prats fu costretto alle dimissioni e al suo posto venne nominato il generale Augusto Pinochet, uomo che Salvador Allende considerava fedele, nonostante gli avvertimenti di Fidel Castro sul suo coinvolgimento da parte della CIA. E l’11 settembre si avverò ciò che Castro aveva temuto. La tensione sociale era alle stelle e l’inflazione oramai galoppava, da tempo il presidente temeva un intervento della polizia nazionale, i “carabineros”. Allende era stato isolato. Mentre Pinochet assaltava insieme ai militari il Palazzo Della Moneda, Allende ebbe solo il tempo di lanciare un ultimo discorso alla radio:

È possibile che ci annientino, ma il domani apparterrà al popolo, apparterrà ai lavoratori. L’umanità avanza verso la conquista di una vita migliore. Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano, ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento

Salvador Allende verrà ritrovato morto nel Palazzo Della Moneda. Ufficialmente si è suicidato sparandosi con un AK-47, tesi che però non sta in piedi.

La moglie Hortensia Bussi Soto fuggirà insieme alle figlie prima a Cuba, poi si traferiranno in Messico fino al 1988, quando Hortensia morirà, mentre i figli torneranno in Cile nel 1989, dopo la morte di Pinochet.

Una storia oggi quasi dimenticata che vede coinvolta anche l’Italia in due esili eccellenti: quello degli Inti Illimani a Roma. Pablo Neruda, tornato in Cile proprio con l’inizio della carriera politica di Allende per il quale si impegnò come diplomatico, morì pochi giorni dopo il colpo di stato di Pinochet. Altra vittima eccellente di questa pagina nera fu il cantante Victor Jara: il suo “Derecho de vivir en paz” è stato ripreso l’anno scorso dai nuovi esponenti della “Cancion Popular Cilena” come forma di protesta per le riforme di Sebastián Piñera che stanno aumentando le diseguaglianze nel paese. E poi c’è un’altra illustre discendente di Allende: la cugina scrittrice Isabel, che Salvador considerava come una nipote, tanto che lei lo chiamava zio, la quale dopo essere stata abbandonata dal padre diventò parte della famiglia del presidente.

L’11 settembre non è solo le torri gemelle, ma per la storia resta comunque una data infausta.