di Alessandro Matticola

A due mesi dalle elezioni, Donald Trump ha letteralmente caricato le cartucce ed ha iniziato a sparare a zero sul Medio Oriente, questa volta in senso positivo.

Sono stati firmati nella serata di ieri gli “Accordi di Abramo” – un personaggio comune alle tre grandi Religioni del Libro – tra Israele, Emirati Arabi e Bahrein.

Si, alla lista si è aggiunto anche l’altro paese del Golfo Persico.

La notizia è arrivata l’11 settembre, mentre gli Usa piangevano l’anniversario degli attentati del 2001. Una telefonata tra il re del Bahrein, Hamad bin Isa bin Salman al-Khalifa, e il primo ministro Benjamin Netanyahu, dove i due concordavano sull’apertura delle relazioni diplomatiche. Nella stessa occasione, il re ha informato che sarebbe stato presente alla cerimonia che si è tenuta ieri dove avrebbe firmato l’accordo con gli Emirati Arabi.

Qualche segnale si era avuto già dopo la firma dell’accordo con gli Emirati Arabi. Il Bahrein era stato tra i primi stati a complimentarsi e compiacersi della notizia. In quell’occasione anche l’Oman ha espresso parole positive per l’accordo raggiunto e con molta probabilità sarà il prossimo paese a stringere accordi con Gerusalemme.

Di contro, Abu Mazen ha ritirato l’ambasciatore palestinese a Manama, considerando l’accordo una pugnalata alle spalle.

Effettivamente, la situazione che si viene a creare è questa. Israele con questi accordi arrivati a sorpresa – ottimo lavoro della diplomazia americana, bisogna ammetterlo – acquista inevitabilmente maggior potere e piano va a indebolire la possibilità della ri-creazione di uno stato palestinese. Stato che, dal 2014 – dopo l’ingresso come osservatore Onu dell’autorità palestinese – è stato riconosciuto dalla Svezia: un solo stato, ma che ha un suo peso specifico come l’atto in sé per sé.

Arriviamo agli accordi firmati ieri davanti al pubblico delle grandi occasioni (700 invitati) sotto l’emergenza coronavirus.

Nonostante non ci siano mai state punture di spillo tra Israele e gli altri due firmatari, il Ministro degli Esteri degli Emiri Abdullah bin Zayed Al Nahyan, ha auspicato l’inizio di un nuovo periodo di pace. E il Bahrein, prendendo la palla al balzo, ha invocato un accordo di pace tra Israele e Palestina.

La questione palestinese quindi tiene ancora banco, anche se in modo sommerso. E molti studiosi ieri si sono chiesti se non sarebbe stato il caso di coinvolgere l’Autorità Palestinese, auspicando ad una risoluzione anche di questo problema, trasformando così la pugnalata, come definita da Abu Mazen, una stretta di mano.

Trump di certo non è un presidente filo palestinese, non ci vuole molto a capirlo ed ha affermato che ci sono almeno altri 5-6 stati pronti a firmare accordi con Gerusalemme. Non dimentichiamo che ci sono anche Kossovo e Serbia – i quali hanno iniziato a normalizzare i loro rapporti diplomatici bilaterali anche in ottica europea – prossimi a normalizzare i rapporti con Israele.

Resta l’ottimo lavoro della diplomazia “trumpiana”, da capire in quale ottica futura questo potrebbe essere il nuovo capitolo della politica dell’ “America First” e come poi gli spari finali di Trump andranno ad incidere sulle urne di novembre.