di Antonio Di Monaco
Nelle ultime ore, la Procura della Repubblica di Campobasso ha aperto un fascicolo contro ignoti (numero 998/2020) per indagare sulla corretta gestione delle pratiche per arginare la pandemia. Secondo una prima ricostruzione, le indagini sarebbero partite da alcuni esposti presentati dai familiari di persone decedute, sia per Covid 19 sia per patologie diverse, che non hanno potuto fruire di assistenza e ricovero nel reparto di Terapia Intensiva dell’ospedale Cardarelli di Campobasso. Da parte sua, l’Asrem – mediante il direttore generale Oreste Florenzano – ha inviato una nota ai responsabili dei vari reparti per poter rispondere alle richieste della Procura.
Una bomba, non certo ad orologeria, ma piuttosto attesa potrebbe deflagrare nel già martoriato sistema sanitario regionale che sconta anche la mancanza della medicina territoriale, prima isolata e impoverita, ed ora invocata per arginare nuove tragedie che lo tsunami della seconda ondata del Covid rischia di lasciarsi alle spalle. Gli annunci in proposito sono stati molti e hanno sempre trovato tutti d’accordo e ora da lì si chiede di ripartire per contrastare l’eccessiva ospedalizzazione. Innanzitutto, è opportuno fare il tracciamento, individuando i territori più fragili ed instaurando una collaborazione pubblico-privato ben gestita e così si eviterebbero le file chilometriche che si sono registrate davanti agli ospedali di Isernia e Venafro.
Un’altra carenza del momento è poi rappresentata dalla rete Usca (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) che conta poche unità e pure sottodimensionate, mentre andrebbero potenziate per fare i tamponi rapidi (a domicilio e non come accade in questo momento ad ingegneria clinica al posto degli infermieri), ma per seguire i pazienti con sintomatologia lieve che non richiedono ospedalizzazione o che si aggravano, considerando che, ai sensi del decreto legge 14 dello scorso 9 marzo, dovrebbe essercene una ogni 50mila abitanti e in Molise ce ne sono soltanto tre che non coprono neanche la metà della popolazione residente. A questo proposito, solo lo scorso 30 settembre il commissario ad acta, Angelo Giustini, insieme con la sub commissaria, Ida Grossi e la direttrice generale per la Salute della Regione Molise, Lolita Gallo, chiedevano in una lettera indirizzata al governatore, Donato Toma e al direttore generale Asrem, Oreste Florenzano, una “proroga prevista ai sensi decreto legge 34 del 19 maggio 2020, convertito in legge numero 77 del 17 luglio 2020, con rafforzamento e ampliamento delle funzionalità” ritenendo di “di poter concedere un ulteriore contributo nonostante non sia stata indicata una quantificazione economica posta a base della richiesta di finanziamento”.
C’è poi la questione del numero dei posti letto di terapia intensiva, ossia 14 ogni 100mila abitanti, come richiesto dal governo. Il Molise, al momento, si ferma a 11 non riuscendo ancora a raggiungere l’obiettivo indicato. A mitigare tutto questo, la ridotta letalità del virus che porta comunque meno persone in terapia intensiva ad eccezione degli ultra 70enni. Basti considerare che a quest’età il rene funziona meno, il polmone è meno elastico e ci può essere il fattore di rischio del sovrappeso, oltre all’evidenza che i linfociti “T” si riducono rendendo il sistema immunitario meno reattivo, mentre nella persona giovane può riscontrarsi un deficit genetico. Occorre, quindi, resistere ancora 4-5 mesi prima dell’arrivo in commercio di una cura a base di cocktail di anticorpi monoclonali (scoperti, in realtà, prima del 1975) che ha sviluppato chi è guarito dalla malattia e possono neutralizzare il virus scagliando delle “frecce” contro la proteina “Spike” con cui il Covid riesce a penetrare nelle cellule umane.