di Alessandro Matticola

 

L’ultimo decreto contro il coronavirus ha fortemente limitato l’attività culturale. A quanto pare, purtroppo, lo stesso invito è stato raccolto anche dalla Rai.

La tv pubblica ha due canali sul digitale terrestre interamente dedicati alla cultura. Il primo è la quinta rete, “Rai 5”, dedicata per lo più a arte, musica e teatro. Poi c’è un canale probabilmente unico in tutta Europa, a quanto pare destinato a scomparire.

Si tratta di “Rai Storia”, il canale che non solo si occupa di divulgazione storico-culturale, ma anche di raccontare l’Italia e la Rai del passato anche recente. Quella che purtroppo non esiste più.

Il palinsesto si occupa sia di divulgazione storica in sé per sé, con narrazione e approfondimenti di eventi e periodi ben precisi, dove possibile anche con la trasmissione di documentari e documenti storici dedicati, sia alla programmazione storica della rai, da programmi come “Carosello” a “Mille Luci” fino ai reportage delle testate giornalistiche del passato.

Due canali che stando ai dati dell’audience, raccolgono tra i 200 mila e i 300 mila spettatori giornalieri. Persone che rientrano tra i contribuenti che donano alla Rai circa 2 miliardi di euro all’anno con il canone e che gradiscono un’offerta diversa da quella generalista delle prime 3 reti.

Le motivazioni sembrano rientrare nel calo dei diritti pubblicitari causati dal coronavirus, motivo per il quale la tv pubblica deve recuperare risorse. Un problema abbastanza serio a quanto pare, tanto che nelle ultime ore si è paventata anche la chiusura di Rai Sport, il canale dedicato alle manifestazioni sportive, i cui diritti sono ormai esigui considerato lo strapotere delle pay tv. Sembrava in procinto di partire anche un canale istituzionale, ma anche questa idea sembra essere tramontata a causa della difficile situazione economica in cui versa la tv pubblica a causa del virus.

E così, come accade sempre in questi casi, invece di tagliare ad esempio sulla produzione dei programmi o sull’acquisto di contenuti da parte di società esterne, oppure ridurre gli ingaggi, il primo campo dove tagliare resta sempre e comunque la cultura.

Un passo alla volta, escludendo le testate giornalistiche, la tv pubblica si sta riducendo quasi esclusivamente a contenuti molto generalisti e alla produzione del Festival di Sanremo alla fine dell’inverno.

Al momento la politica ha ben altro a cui pensare che occuparsi della chiusura di una rete televisiva, anche se di stato. Ma l’informazione del settore, dai principali quotidiani nazionali alle testate dedicate, è allarmata da quella che pare non essere solo una voce messa in giro nella sede di Viale Mazzini a Roma.

La cultura sta vivendo un periodo molto difficile a causa del covid, al pari di tanti altri settori, con la sola differenza che quella culturale era l’unica valvola di sfogo durante la quarantena. Probabilmente in molti lo avranno dimenticato, anche nei vertici Rai che di servizio pubblico, purtroppo, si sta occupando sempre meno.