di Lucrezia Cicchese
Nonostante l’endometriosi colpisca il 10-15% delle donne, in Italia non è facile parlare di questa patologia, non è facile trovare il dovuto sostegno e neanche a dirlo la dovuta informazione. Così oggi voglio raccontarvi la storia di Vania, una donna di quasi 50 anni che, con forza e coraggio, porta avanti la lotta (perché è una vera lotta in questa giungla chiamata mondo) a sostegno delle donne, che come lei, sono affette da endometriosi.
Voce squillante e frizzante che al tempo stesso infonde calma: è Vania Mento, che negli anni è diventata insieme ai suoi capelli rosa, simbolo di tutte le donne con endometriosi. Lei, una vera attivista, che dopo essere stata licenziata nel 2016 senza nessuna giusta causa (unica “colpa” avere l’endometriosi) si è ritrovata a un bivio e a chiedersi: cosa faccio? Vania ha così iniziato a condurre una battaglia affinché l’endometriosi non sia più una patologia sconosciuta e invisibile.
Per arrivare a questa consapevolezza sono passati anni e Vania li ricorda, tutti. Gli attimi di smarrimento, dolore e solitudine.
Perché come spesso accade arrivare a una diagnosi non è un percorso semplice, ma un cammino tortuoso, sofferente e costellato da incomprensione e bullismo. Una parola forte, quella del bullismo, ma che è semplice realtà di quanta disinformazione e arroganza vi sia nel “trattare” l’endometriosi.
“Ho sempre avuto un ciclo mestruale molto doloroso e mi sentivo dire che ne facevo un dramma. Ho iniziato presto a prendere la pillola fino a 34 anni, quando ne ho interrotto l’assunzione. E da allora tutto è iniziato. Ogni mese avevo dolori lancinanti e spesso l’unico conforto erano iniezioni quotidiane di Toradol. Nessuno ne veniva a capo, un calvario durato anni e solo a 40 anni un medico, durante una visita, riuscì a dirmi cosa avessi: l’endometriosi”.
E da lì gli infiniti viaggi della speranza: visite (costose), medici, esami.