di Alessandro Matticola

 

Domenica di Pasqua. E in questa Settimana Santa, noi di Officina Dei Giornalisti abbiamo spento la nostra prima candelina. Una delle festività che, al pari del Natale, è stata rappresentata al cinema in ogni modo.

Partendo da kolossal storici immortali come “Il Re dei Re”, “La Tunica” o “I Dieci Comandamenti”, fino a “The Passion” di Mel Gibson e cartoni animati come “Il Principe D’Egitto”, sul grande schermo è stato narrato ogni aspetto legato alla morte e alla resurrezione di Gesù, sia del Nuovo Testamento, sia le vicende narrate nell’Antico Testamento che hanno portato poi alla Nuova Alleanza.

Il film di oggi, è probabilmente il più famoso, il più criticato ed il meno compreso tra le rappresentazioni della Pasqua. Ed è sicuramente una delle rappresentazioni più straordinarie e stravaganti che ci siano state. Insomma, un film semplicemente unico: Jesus Christ Superstar.

L’anno è il 1970. Andrew Lloyd Weber, il genio del Musical insieme a Leonard Bernstein (autore di West Side Story), l’ideatore di opere straordinarie come “Il Fantasma Dell’Opera”, “Cats” ed “Evita”, dà alla luce un musical sugli ultimi giorni della vita terrena di Gesù.

Siamo in un momento cruciale. La società sta cambiando, il movimento hippie ed i moti del 1968 sono ancora in piena attività. Cambia la musica, cambiano i costumi. E anche la religione cattolica sta per cambiare, ma non è ancora pronta, nonostante ci sia stato il Concilio Vaticano II 5 anni prima. Ma il Vaticano non entrerà nella questione più di tanto. Anzi, quasi non ne resta colpito.

Dal palcoscenico, il musical viene portato sul grande schermo nel 1973 da un altro genio del cinema, Norman Jewison (“La calda notte dell’ispettore Tibbs”, “Il violinista sul tetto”, “Quel certo non so che”, “Rollerball”) con degli interpreti straordinari. Ted Neeley ancora oggi è Gesù, seppur senza i capelloni di 50 anni fa ed è ancora lui a cavalcare il palcoscenico. Ci sarebbe stato sicuramente anche Carl Anderson con la sua voce potente nei panni di Giuda, che ci ha lasciato 17 anni fa. E poi c’è Yvonne Elliman nei panni di Maria Maddalena, coautrice insieme ai Bee Gees della colonna sonora de “La Febbre Del Sabato Sera” ed ex corista nonché fiamma di Eric Clapton, ancora oggi sul palcoscenico.

Jesus Christ Superstar racconta in forma cantata gli ultimi giorni di vita di Gesù da un punto di vista particolare, quello di Giuda. La storia parte da lì, da colui che nei Vangeli viene descritto come l’antagonista, per poi restituire un’immagine umana della figura di Cristo ed anche di Giuda.

Jesus Christ Superstar, più che un film sulla vita di Gesù, è un film sull’eterno conflitto tra il bene e il male, il suo essere umano e le sue conseguenze.

Naturalmente poi, c’è l’aspetto religioso. Ed è qui che l’opera di Andrew Llloyd Weber fa un salto di qualità

Come ha affermato anche Fabrizio De Andrè, Gesù Cristo è stato uno dei più grandi rivoluzionari della storia se visto al di fuori della dimensione religiosa. Questa visione, viene calata nella realtà dei primi anni ’70, caratterizzati come già detto dal movimento hippie e dalla Beat Generation in America e da quello studentesco che ancora era in piena attività.

Le ambientazioni sono contemporanee. Gesù è l’unico ad avere un aspetto più antico, tutto intorno vi sono i colori e la rivoluzione sociale iniziata con i moti del 1968. In questo contesto, Gesù diventa un eroe degli anni ’60, un esponente del movimento studentesco e della cultura hippie, tale da far si che anche le giovani generazioni del periodo lo possano accostare a lui.

Era un Gesù umano, non divino. Umani erano anche coloro che gli gravitavano intorno, con tutte le passioni, le paure e le speranze dei giovani sessantottini. Maria Maddalena innamorata di un personaggio tanto carismatico quanto lontano da lei, seppur vicino nel modo di pensare. I discepoli sono totalmente presi da lui, come un leader politico degli anni ’60. Giuda è il dissidente, colui che prova a dire qualcosa di diverso e cercare così di emergere.

Jesus Christ Superstar porta sullo schermo quello che è stato il ’68. I sogni, le speranze, la pace, il no alla guerra, l’emancipazione femminile e sessuale – la celata omosessualità di Giuda e di Gesù nella famosa scena dove Yvonne Ellimann canta “Everything’s Alright” – ma anche la paura nei confronti di questa emancipazione da parte della classe dirigente, impersonata in particolare da Caifa e da Ponzio Pilato.

La religione, l’evento centrale della vita cristiana, si fonde con la realtà che cambia e la rende umana, cosa ancora impensabile per quel periodo. Anche Gesù non è divino, ma umano con le sue paure. Eppure anche nel Vangelo gli ultimi momenti della vita di Gesù sono quelli di un essere umano che arriva anche ad avere paura di ciò che sta per accadergli, sebbene ne sia consapevole da sempre. Ma “The last supper” urlata al cielo ci restituisce un’immagine molto più reale ed umana di Gesù rispetto a quella contenuta nelle Sacre Scritture. Gesù, prima della crocifissione, viene innalzato non come una divinità, ma come un idolo, come una Superstar, con il brano più famoso di tutto il musical.

Jesus Christ Superstar non fece rumore né scandalo per aver calato la divinità della Pasqua nella contemporaneità, ma per averla rappresentata ed esaltata come qualcosa di importante e fondamentale, paragonabile al divino.

Il film si conclude con la crocifissione e morte di Gesù, senza musica ad accompagnare i titoli di coda. Gesù non risorge. Gli attori lasciano il set cinematografico, che resta in piedi, non viene smontato, distrutti non tanto dalla stanchezza ma dall’essere stati partecipi di un dramma. Quello che doveva essere un musical si è rivelato essere molto di più, la rappresentazione dei tempi che si stavano vivendo, narrati e vissuti in prima persona. Non è un caso che l’ultimo a salire sull’autobus e lasciare il set è Carl Anderson, il factotum di tutta la storia, visibilmente più scosso e amareggiato degli altri nel lasciare il set.

Al termine del film non c’è la Resurrezione perché non voleva essere un film religioso e di nicchia. Si voleva lasciare un finale aperto a tutti, credenti e non.

Lo stesso finale che, in questo giorno di Pasqua ancora caratterizzato dalla pandemia del coronavirus, auguro a tutti voi: chi è credente gioisce per la resurrezione di Cristo e crede in un futuro migliore, libero dal male, dalla paura e dalle angosce. Ma la stessa speranza spetta anche a chi non è credente e a chi crede in qualcos’altro.

Buona Pasqua a tutti!